Visualizzazioni totali

domenica 14 marzo 2010

Dialetto romanesco anche questa è poesia

Er giorno dopo che nacque er bambinello
tirarono un po' er fiato er bue e l'asinello
avean tenuto callo er pupo biondo
ch'avrebbe risanato questo mondo

Ma er primo a presentasse sull'uscio della grotta
c'aveva er volto furbo, da fijo de na mignotta
era un pastore sardo, de quelli malandrini
se porto' via er pupetto co' tutti i pannolini

Quando che san Giuseppe che fuori l'avea fatta
rientro' nella grotta chiudendosi la patta
non trovando suo figlio nell'alveo della paja
svejo' Maria dormiente stravolto dalla rabbia

"Maria Maria, er pupetto, ma ndove l'hai niscosto"
e prese a gira' intorno, cercando in ogni posto
e ritrovo' un bijetto, nascosto in un anfratto
che in tono anarfabbeta parlava der riscatto

"Voi che c'avete abbocchi con chi sta in alto loco
sappiate che p' er pupo m'accontento de poco
parlatene cor Padre che su nei cieli sguazza
coi santi e coll'arcangeli che bevono er Lavazza

si volete che er bimbo ritorni a casa presto
quello che qui e' elencato se deve fare presto
si entro domattina non c'ho prova sicura
ve la rimanno a pezzi, sta povera creatura!"

Seguiva un lungo elenco, seppur sgrammaticato
ma chiaro, freddo e lucido, molto determinato"
"O Dio che delle nuvole carezzi la bambaggia
mo' sturete le recchie anche con l'acquaraggia

se semo rotti e tanto de tutti i parrucconi
che guidano l'Italia, per primo Berlusconi
possibbile che in giro, de tanta brava gente
nun riesci a trova uno che sia un po' competente?

Devoto prego te, che sei er Papa' Celeste
sistema la questione del Diggitale Terrestre
che qui se nun c'e' Iddio che ce provvede
diventamo matti pure pe' guarda' Fede

Non e' per far morale, oh tu che stai per aria
ma tutti li politici percorron la Salaria
possibbile che questi o parlan di elezioni
o fanno er puttan tour come tanti montoni?

Inolte qui fan strage senza usa la mitraja
basta che nelle grinfie caschi dell'Equitaja
o Tu che il figlio hai messo tra l'asino ed il bue
me manneno cartelle data dumilaeddue!

E poi ce sta er problema dell'orfani de Moggi
nun e' cambiato gnente, da allora fino a oggi
pe' vede un rigoretto contro le grandi squadre
nun e' che dopo er fijo dovemo pija' la madre?"

L'elenco proseguiva:"ma dimme chi ce penza
ar traffico, a li treni, ar costo della benza
a quelli che il tuo verbo a spander hai chiamati
e poi coi minorenni li pizzichi avvinghiati?

Ma dimme un po' Oh Signore, tu che sei uno e trino
ma davero davero credi che so' cretino?
guarda che sotto all'occhi io ce l'ho evidente
che tu che vedi tutto, non ce guardi pe' gnente!

Io temo che sta cosa piu' de tanto nun te tocca
ma sto capolavoro l'hai pittato co la bocca?
nun era mejo mettece piu' de na settimana
e fa' meno cazzate in fila indiana?

Adesso o responsabbile de eventi si' funesti
ascolta la parola dell'Anonima Sequestri
sordi non ne volemo, ed e' gia' molto
noi te ridamo er figlio se solo ce dai ascolto."

Giuseppe ripiego' er capo, il volto affranto
le guance se rigarono copiose del suo pianto
se collego' ar portatile, scansiono' er documento
e lo allego' alla email che manno' al firmamento

Er server de Betlemme decritto' er mittente
s'accorse che er messaggio era taggato urgente
trovo' un percorso libbero, un router lo smisto'
sul desktop de Dio Padre l'avviso luccico'

Purtroppo quella sera Colui ch'e' Uno e Trino
s'era ingrifato punto a fare il contadino
su feisbuk a pianta' fiori e qualche ortaggio
non colse al volo il senso del messaggio

Senza porre attenzione, pim pum pam
lo cestino' nella cartella spam
e il Fato che a tutto mette mano
fece si che quel bimbo restasse a Oristano

Giuseppe e la Madonna invano aspettarono
poi un regazzino somalo adottarono
che fece del suo meglio contro il Male
ma certo che nun era il Figlio originale

Lo so la spiegazione po' risona' blasfema
ma se ogni tanto qui la Terra trema
se moreno bambini per la fame
se er mare e' funestato dar catrame

se cio' in cui credi spesso te travolge
pietoso dici "Cristo poi risorge"
Io m'accontenterei che oggi Lui nascesse
e senza intontonimme con le messe

scennesse drento all'anime assai lieve
a ripuli' er carbone con la neve
a dacce er giusto, sai, gnente de piu'
Buon Natale, non soffrire piu'.

martedì 2 marzo 2010

L'uccello in chiesa

L'UCCELLO IN CHIESA

Era d’agosto, ed un povero uccelletto
Ferito dalla fionda di un maschietto
Andò a riposare un’ala offesa
Sulla finestra aperta di una chiesa.
Dalle tendine del confessionale
Il parroco intravide l’animale,
ma pressato da molti peccatori
che pentirsi volean dei loro errori,
rinchiuse le tendine e come niente
riprese a confessare la sua gente.
Ed in ginocchio si potea vedere
Fedeli che dicevano preghiere.
Ma una donna notò l’animaletto.
Lo prese e con amor lo pose in petto;
ma ad un tratto, un improvviso cinguettio
ruppe il silenzio nel tempio di Dio.
Rise qualcuno, e il prete a quel rumore
Il ruolo abbandonò di confessore
S’arrampicò sul portico veloce
E di lassù parlò ad alta voce:
"Fratelli chi ha l’uccello, per favore,
vada fuori dal tempio del Signore."
I maschi, a tal invito, con rossore,
s’alzaron tutti ma con gran stupore,
e il prete a quell’errore madornale,
"Fermi - gridò - Mi sono espresso male;
rientrate tutti e statemi a sentire;
SOL CHI PIGLIO’ L’UCCELLO DEVE USCIRE!"
A testa bassa e la corana in mano,
Le donne si alzarono piano piano.
Gridò il prelato: "STO SBAGLIANDO ANCORA,
RESTATE TUTTE QUANTE FIGLIE AMATE, IO NON
VOLEVO DIR QUEL CHE PENSATE".
Poi per chiarire ritornò a dire:
"Sol chi prese l’uccello deve uscire,
- però aggiunse a voce alta e tesa -
"alludo a chi l’uccello prese in chiesa".
Mortificate e nello stesso istante
Le monache si alzaron tutte quante-
Quindi, con evidente batticuore,
lasciarono la casa del Signore.
"SANTE, BEATE – esclamò il prelato,
SORELLE PERDONATE, HO ANCORA SBAGLIATO.
Insomma deve uscire piano piano
chi in questo istante ha l’uccello in mano!"
Una fanciulla, assieme al fidanzato,
nascosta in un angolo celato
pallida, sussurrò con viso assorto:
"TE LO DICEVO IO, SE NE’ ACCORTO!!"
Filastrocca della Befana.

La Befana vien di notte
con le chiappe tutte rotte
col vestito di Moana:
E’ una troia la Befana!

La Befana chula di notte
con le chiappe tutte rotte
con la scopa di saggina:
succhia e fotte a pecorina!

La Befana vien di notte
con le chiappe tutte rotte
le zinnette a la romana
se la mena la puttana!

La Befana vien di notte
con le chiappe tutte rotte
un culone tutto blu
fotte, chiava e butta giù.

La Befana zitta zitta
quando vien la sborra fitta
passa riempie la calzina
con due seghe ed un pompino!

La Befana vien di notte
con le chiappe tutte rotte
il suo sacco è pien di topa
ed i buchi ha tutti rotti.
La Befana vien di notte
con le chiappe tutte rotte
il vestito corto ha,
chi vuol fotter eccomi qua!

La Befana vien di notte,
con le chiappe tutte rotte
le sue zie son mignotte,
la nipote? Fotte fotte!
Ti va bene se ci credi,
perché troverai bei doni.
Ti va male se la vedi
mentre passa a mezzanotte,
perché ti troverai carponi
con le chiappe tutte rotte!

Vien dai monti a notte fonda.
Com’è stanca! scopa e monta,
il pene in cul e l’altro in mano
viene, viene la Befana!
adattamento de ilgobbetto.

giovedì 18 febbraio 2010

Un caso di coscienza. ( imiei racconti)

Ho sbroccato, si dopo anni ho sbroccato! Prima di allora non avrei mai pensato che potessero accadere cose del genere. Eppure sono accadute e proprio a me che non ci avrei scommesso una lira quando qualche amica pettegola mi raccontava di questi ed altri fatti sull’argomento sesso. Specialmente quelli un poco ( a dir poco ) fuori dalle righe!
Sono una donna anziana e vedova da un decennio del mio povero marito. Dei nostri figli l’unica a sposarsi più che trentenne fu la nostra primogenita. Di carattere duro, arcigna, lavoratrice aveva avuto qualche fidanzato, ma nessuno che la potesse fronteggiare. Comunque questo, l’ultimo, ci riesce, ed è riuscito a farsi sposare. Abitano in una casa di nostra proprietà (girata a loro) a cinquecento metri in linea d’aria da dove ho sempre vissuto e vivo ora da vedova. Il paesino è piccolo e dista pochi chilometri dalla città capoluogo, diciamo venti minuti di pullman. Dopo undici mesi sposati, senza segni di gravidanza, mia figlia si è ammalata ( ma non per questo ) ed è stata ricoverata presso il locale ospedale. I mesi si susseguono, le visite sono assidue e frequenti. Ormai è un anno che lei è ricoverata, ed io sono preoccupata oltre che del suo stato di salute, anche dalla possibilità che il marito ceda alle tante tentazioni che la vita moderna offre. Ormai non avranno rapporti sessuali da mesi e mesi, io temo che qualche sgualdrinella gli faccia assaggiare la fica giovane ed allora addio matrimonio di mia figlia.
Una sera di febbraio piovosa e gelida, tornando dall’ospedale in macchina con mio genero, come sempre, lo invitai a fermarsi da me per cenare e scaldarsi al calore del camino. A fine pasto, frugale al solito, uno scoppio brutale fracassò l’aria inondando la stanza con un bagliore accecante poi, il buio pesto attenuato solo dal flebile barbaglio delle fiamme sui ceppi e sulle braci ardenti. Era andata via la luce! Di solito poteva impiegare ore perché la riallacciassero. Poco male dissi tra me e me, intanto la pioggia battente sembrò incrudita e rinforzata dal fulmine caduto poc’anzi.
Paolo il mio giovane genero, era con me in rapporti molto confidenziali, status che avevo creato io stessa già dai primi giorni che lui si presentò in casa per mia figlia. Abbracci e baci intercorrevano tra noi ad ogni occasione ed io mi sentivo lusingata da tanto affetto sincero e cordiale.
Confesso che più volte mi ero sentita toccata anche di striscio oppure accidentalmente da Paolo ma, ho sempre ritenuto un caso fortuito tutto ciò, anche se poi di tanto in tanto quasi ci speravo di essere sfiorata o toccata ancora da lui. In fondo non avevo avuto un maschio dall’ultima volta che l’avevo fatto con mio marito. Anni fa.
Una volta, non molto tempo fa, nella concitazione dei festeggiamenti, durante una cerimonia, nella ressa che poi si formò davanti ad una torta da tagliare, tra le grida di gioia ed il continuo spingersi ed inneggiare, sentii chiaramente la forma del cazzo prima moscio ma, poi barzotto direi, di Paolo che stava proprio dietro di me che si appoggiava nel solco delle mie chiappe, difese appena dalle mutandine e dal vestito di cotone leggero. Avvampai tutta . dopo poco tempo mi ritrovai con le mutandine sporche di bava appiccicosa, e quella sera dopo il contatto inequivocabile di Paolo, mi sarei trovata allagata tutta, ne ero certa! Il contatto era discontinuo e frequente durante tutto il taglio della torta e dei brindisi con lo spumante. Erano schermaglie ambigue le nostre ma, ci piaceva così.
Mi sganciai dalla folla ormai diradata e mi diressi ai bagni, avevo un prurito insostenibile oramai.
Chiusa la porta mi alzai la gonna ed abbassate le mutande vidi con disappunto una chiazza di bava densa e trasparente insozzare le mutande mentre colava dalla mia fica. Strofinai con salviettine la fica ma l’azione anziché detergere mi procurò un intenso piacere una fitta lancinante mi trapassò la schiena. Avevo bisogno di farlo. Si di masturbarmi insomma! Al solito lo facevo, al bisogno, di notte nel mio enorme lettone, prelevavo una zucchina o una melanzana dalla forma e dalle dimensioni appropriate, le lavavo con cura e mi abbandonavo a penetrazioni lussuriose e senza ritegno alcuno. Riuscivo a leccarmi una tetta alla volta grazie alla loro dimensione, ci arrivavo a stento ma ci arrivavo con la lingua! Un palliativo! Ma niente poteva sostituire la fava di un uomo. Quel meraviglioso giocattolo di carne, dal glande paonazzo ed il curvo pene incapsulato, la meravigliosa sensazione dell’atto finale quando dal forellino sulla sommità erutta la bava calda nelle tue più recondite intimità! Ah, il maschio. Che bella invenzione.
--- Resta qua stasera, con tutta questa pioggia è meglio che tu dorma qua, vai in camera ed indossa uno dei pigiami che trovi nel secondo cassetto del mobile.---
Dissi decisa a Paolo mentre mi dirigevo nel bagno buio con la candela accesa tra le mani.
Terminai presto, avevo indossato la lunga vestaglia chiara, uscii dal bagno ma l’aria della porta mi spense la candela! Poco male, continuai ad avanzare nel chiarore che il camino irradiava anche nel corridoio ma, quando passai davanti alla camera guardai nella fessura della porta appena accostata, un attimo appena, il tempo di osservare Paolo chino con le chiappe nude, il solco delle natiche velato da peluria scura e le grosse palle ondeggianti tra le cosce, illuminato dalla candela posta sul comodino! Avvampai tutta. Ardevo già dal desiderio. Tornai nel bagno al buio dove tentoni aprii l’acqua del bidet, lo colmai ed essendomi seduta sopra a cosce spalancate, feci delle abluzioni alla fica ormai calda sborrosa e pulsante! Nulla calmò la voglia di cazzo che mi pervadeva! Tornai verso la cucina senza le mutande, mesta e timorosa. Dopotutto era mio genero, cazzo!
Paolo era seduto sul divano posto davanti al camino che dardeggiava luce e calore nel buio della stanza, quando ritornai poco dopo portando con me un tiepido plaid. Mi sedetti sul divano accanto a lui quasi a contatto. Nel distendere il plaid sulle sue gambe gli sfiorai il pube; avvertii il suo cazzo, morbido, quasi gelatinoso, racchiuso nel pigiama, lo feci con aria indifferente, ma dentro di me il sangue ribolliva, la testa avevo leggera, come quando si è un poco su di giri. Il calore del camino scaldava le caviglie scoperte in quanto il plaid non riusciva a coprirci tutto. Il suo respiro divenne placido, regolare, si era lasciato andare nel sonno ristoratore. Io non riuscivo a riposare. Ero combattuta tra il desiderio di avere quel maschio ( che in fondo un poco mi apparteneva di diritto ) ed il pudore parentale! La sua spalla poggiava su di me, la sua testa reclinata poggiava sulla mia spalla, il suo caldo respiro si diffondeva raggiungendo il lato destro del mio collo, quasi una carezza! Immersa nel semibuio della cucina, la mia fantasia si librò nei più assurdi voli che la logica non avrebbe mai potuto recensire. Il mio sesso grondava, la mia timidezza fondeva come un ghiacciolo posto al sole. Avvertivo l’odore del maschio! Ero una bestia in calore.
Nel sonno Paolo si aggiustò più volte finché si tirò le gambe sul divano distendendosi quasi, ma nel farlo scivolò un poco addosso a me posizionandosi con la testa su una delle mie tette. Lo assecondai distendendomi a mia volte quasi sotto di lui. Adesso lo tenevo disteso addosso un poco più su del previsto, infatti sentivo i suoi genitali premere sul mio pube, decisamente era un poco in alto. Il calore dei corpi uniti ci inondò di benessere, cominciai ad avvertire un pallido turgore che poco dopo divenne erezione vera e propria, il grosso cazzo mi premeva sulla pancia ed il movimento leggero ( involontario ?) faceva soffregare l’asta turgida sopra il mio monte di venere. Passai entrambe le mani sulla sua schiena come per incoraggiarlo, arrivando a palpargli entrambe le chiappe. Erano sode e ricoperte di peluria, i muscoli scattanti delle natiche si contrassero al mio contatto lascivo. Le afferrai e strinsi con voluttà, i freni erano andati oramai andavamo a ruota libera, lui spingeva su e giù con il respiro trafelato. Manovrai la mano destra sotto di lui fino ad afferrare il nodoso bastone nudo, lui si contorceva negli spasmi della libidine, io non ne potevo più, lo spinsi in basso quel tanto che mi consentiva di puntare la punta del pene gonfio nella vacuità del mio sesso protetto solo dal sottile velo della camicia da notte e del suo pigiama. La stoffa sembrò ingigantire la punta del pene e la tensione che questa procurava, su entrambi i sessi aumentò le nostre voglie portandole allo spasmo. Paolo si puntellò sulle ginocchia, tirò su la vestaglia fino alla mia pancia, il mio respiro divenne rapido, sibilava l’aria che entrava ed usciva fra i miei denti chiusi, poi si strappò il pigiama ed afferrato il ricurvo e nodoso randello lo puntò dritto nella fessura della mia fica martoriata da contrazioni spasmiche che la fame oramai cronica di cazzo mi procurava. Sentii la sua punta arrotondata e calda inserirsi nelle pieghe della mia pucchiacca, lui, appena inserita la punta sembrò esitare un istante, poi con veemenza quasi brutale affondò nella ferita aperta della mia anima la sua dura lancia, fino in fondo nelle mia viscere. Urlai tremando, soggiacqui ai suoi colpi secchi e rapidi, sentivo colare dalla mia fica in liquido caldo e denso che correva nelle pieghe del buco del culo. Chiusi sulle sue spalle le mie braccia, annodai le gambe dietro di lui che mi martellava come un ossesso dentro la fessa capiente, la sua bocca leccava le mie tette con i capezzoli turgidi che di volta in volta suggeva o lasciava insalivati. Io godevo da porca. Mi immaginai nelle sembianze della cavalla che riceve lo stallone, l’enormità di quel sesso mi aveva sempre accompagnata nelle mie fantasie notturne, seducendomi nella libidine allo stato puro. Poi mi sentii sollevare le gambe. Paolo le appoggio entrambe sulle sue spalle quindi reinserì tutto il suo cazzo nella fica e tenendomi per le braccia mi stantuffava energicamente. Il suo pene quasi usciva dalle labbra della mia fica sfregando ed asciugandosi tra le mie cosce morbide per poi precipitarsi dentro di me. Qualche colpo più in là, non resistetti più tanto era il piacere di sentirmi chiavata dalla cappella calda ed asciutta dopo ogni soggregamento nelle cosce che mi rilasciai appena sentii la sua mazza incurvarsi e la cappella gonfiarsi ancora di più. Il primo schizzo fu quasi doloroso tanto era la pressione con cui venne fuori, poi gli altri furono più dolci, caldi e densi. Mi sentii sborrata , come farcita all’interno ed il mio orgasmo scivolò in secondo piano dato che ero concentrata a godermi la sensazione che la sborra calda mi donava. Anni ed anni che non assaporavo quell’esperienza. Fu per me come tornare a vivere. Che differenza enorme se confrontato con le masturbazioni a cui mi abbandonavo di tanto in tanto. Paolo si abbandonò su di me, così mi concessi ancora attimi di piacere dato che il suo sesso si ritirava lentamente dal mio corpo. Poi si fece piccolo e scivolò fuori dalla fica e con esso un conato di misto sborra e liquido vischioso, caldo, colò giù lungo le mie chiappe formando una chiazza calda e bagnata sul divano sottostante.
All’alba mi ridestai al solito, il cielo era plumbeo fuori .
Il chiarore inondava tutta la casa. Entrai nel bagno e mi lavai con acqua calda la fica con i peli incrostati della sua sborra rinsecchita.
Mi guardai allo specchio, mi venne la nausea gli occhi arrossati i capelli erano in disordine ma, la mia coscienza lo era ancora di più! Sputai violentemente verso l’immagine riflessa nello specchio. Mi facevo schifo. Mi odiavo. Di là c’era mio genero che riposava ancora . il solo pensiero di ciò che avevamo fatto mi sconvolgeva. Non era meglio fare come la Bettina (una mia conoscente ) che amava talmente un cane allevato da lei stessa e tenuto in casa come una persona, pulito e senza altre frequentazioni che alla fine quando questi ebbe più di due, forse tre anni ne era divenuta la sua amante fissa. Era cioè la sua femmina.
Il rumore alla porta del bagno mi distolse dai pensieri, Paolo entrò mentre ero appena con la camicia poggiata sulle spalle, quindi nuda, mi afferrò da dietro e teneramente mi baciò sul collo, sfregando il cazzo morbido tra le mie chiappe,
--- grazie , ne avevo bisogno—
Disse e sorridendo continuò:
--- sarà il nostro segreto dolcissimo ---
Quindi uscì dal bagno per vestirsi.
Notai nello specchio il mio viso rasserenato ma, ciò che mi sconvolse fu la luce che mi leggevo dipinta sul viso! Ero di nuovo da sola e fu allora che mi dissi sottovoce ma, con rabbia:
--- sei una vecchia troia infoiata, e non sei poi così diversa dalle altre tue comari! ---
Ilgobbetto. 2010

martedì 16 febbraio 2010

Filastrocca per la Befana

La Befana vien di notte
con le chiappe tutte rotte
col vestito alla romana:
E’ una troia la Befana!

La Befana chula di notte
con le chiappe tutte rotte
con la scopa di saggina:
succhia e fotte a pecorina!

La Befana vien di notte
con le chiappe tutte rotte
le zinnette a la romana
se la mena la puttana!

La Befana vien di notte
con le chiappe tutte rotte
un culone tutto blu
fotte, chiava e butta giù.

La Befana zitta zitta
quando vien la sborra fitta
passa, riempie il calzino
con due seghe ed un pompino!

La Befana vien di notte
con le chiappe tutte rotte
il suo sacco è pien di topa
ed i buchi ha tutti rotti.
La Befana vien di notte
con le chiappe tutte rotte
il vestito corto ha!
Chi vuol fotterla eccola qua!

La Befana vien di notte,
con le chiappe tutte rotte
le sue zie son mignotte,
la nipote? Fotte, fotte!
Ti va bene se ci credi,
perché troverai bei doni.
Ti va male se la vedi
mentre passa a mezzanotte,
perché ti troverai carponi
con le chiappe tutte rotte!

Vien dai monti a notte fonda.
Com’è stanca! La circonda
il pene in cul e l’altro in mano
viene, viene la Befana!
adattamento de ilgobbetto 2010

mercoledì 31 dicembre 2008

Poesia goliardica: La rosa dei venti.

Part. 1 La genesi

Sin da quando il mondo aveva
ancor vivi Adamo ed Eva,
era in voga in tutti quanti
un riparo li davanti.
Ma nessun pensò, che strano,
di coprirsi il deretano.
E così dall'orifizio,
per bisogno oppur per sfizio,
calda arietta prima oppressa
variamente fu trasmessa
con sussurro un po' confuso
o con colpo d'archibuso.
In antico i vari suoni
non urtavano i calzoni:
né gli strappi repentini,
capricciosi o pizzichini
né le loffe più discrete
conturbavano la quiete.
La melodica emissione
per anal stimolazione
e anche il peto tracotante
dal fragore dilaniante
ebbe grande rinomanza
e innegabile fragranza.
Tanto grato fu l'odore
di quel vento propulsore
che l'usanza fu apprezzata
e dai posteri adottata
con piacere sovrumano
sia del retto che dell'ano.
Fin da quando sodomiti,
d'ogni musica periti,
per eccesso di misura
s'otturavan l'apertura,
la scorreggia di gran gloria
s'e coperta nella storia.

Part.2 L'Hellenicae

Con sconquasso intestinale
e tremore universale,
dall'Olimpo i sacri Numi
deviavan tanti fiumi
e asciugavano i pantani
col soffion dei deretani.
Un bel peto giornaliero
intonava il vate Omero.
Scorreggiava il re di Troia
finche un dì tirò le cuoia
e pungenti come spille
le faceva il prode Achille.
Di scorregge astute Ulisse
tutti quanti in guerra afflisse.
Si sa pur che dal cavallo
fuorusciva vento giallo
e Penelope da sola
ingialliva le lenzuola.
Agamennone all'attacco
le faceva a squarciasacco.
Sibilanti e a vasto raggio
eran quelle d'ogni ostaggio.
E Cassandra profetessa
scorreggiava come ossessa.
Ci ha Platone riferito
che di Socrate erudito,
poi che bevve la spremuta
d'amarissima cicuta,
trafiggente come scheggia
parve l'ultima scorreggia.
I coltissimi Ateniesi,
se da coliche eran presi,
dilatavan lo sfintere
emettendo dal sedere
filosofiche ventate
molto acute e ponderate.
Gli Spartani, da Licurgo
impararono lo spurgo
dei piu fetidi elementi
che producono fermenti:
e di drastiche zaffate
saturavan le adunate.

Part 3 Urbs ROMAE

Ma fondata che fu Roma,
ogni greco cadde in coma
poiché in lega con gli Etruschi,
i Romani, a peti bruschi
e col gas delle fanfare,
cominciarono a imperare.
Tutti i popoli, asfissiati,
furon presto soggiogati
e il Senato, tra gli allori,
diede l'ordine ai Pretori
di dettare ovunque legge
coll'ausilio di scorregge.
Venne poi innalzato un tempio
a chi diede il primo esempio:
proprio Romolo in persona
s'era messa la corona
sopprimendo il fratellino
con il gas dell'intestino.
Ogni nobile patrizio
scorreggiava con giudizio:
il fragor di Coriolano
si sentiva da lontano
e con schiaffo sulla trippa
scorreggiava pure Agrippa.
Si suol dir che Cincinnato
scorreggiasse in mezzo al prato,
e che Manlio in Campidoglio
le lisciasse come l'olio
accorrendo alle non poche
spernacchiate delle oche.
Muzio Scevola a Porsenna
fece un peto come strenna
mentre peti da bisonte
fece Coclite sul ponte
e arditissimi petini
fece Clelia tra i Chiusini.
Rivolgendosi agli Dei
scorreggiavano i plebei.
Ma alle feste d`lmeneo
il triumviro Pompeo
e più ancora il gran Lucullo
scorreggiavan per trastullo.
Ciceron, per ore intere,
chiacchierava col sedere
ma sul far della mattina
scorreggiava Catilina
dedicando all'Arpinate
insolenti serenate.
Scorreggiava come un tuono
fin Cleopatra dal suo trono
mentre Cesare, suo drudo,
le faceva sempre nudo
ed Antonio, grande e grosso,
scorreggiava a piu non posso.
Pure Augusto Imperatore
scorreggiava a tutte l'ore
con la corte sua perfetta
scorreggiante in etichetta,
mentre solo in casi gravi
scorreggiavano gli schiavi.
Si racconta che Tiberio
scorreggiasse serio serio,
che Caligola il tiranno
scorreggiasse tutto l'anno,
che Traiano in quel di Dacia
scorreggiasse con audacia.
Scorreggiava l'Urbe intera
dal mattino fino a sera.
Scorreggiava in grande stile
anche il sesso femminile
e Cornelia ai suoi gioielli
ne faceva dei fardelli.
Scorreggiava senza posa
Messalina silenziosa,
imitata da Agrippina
che facevale in sordina.
E coi peti le Vestali ci
spegnevano i fanali.

Part 4 Barbariae ventis

Le barbariche calate,
da scorregge accompagnate,
provocaron nei Romani,
prorompenti un di dagli ani,
tale e tanta ristrettezza
che il fragor si mutò in brezza.
Di scorregge, Goti e Franchi
non sembravano mai stanchi.
Pur sconfitti, i Longobardi
scorreggiavano testardi
mentre gli Arabi ad oltranza
si sfiatavano la panza.
A Ravenna i Bizantini,
grandi esperti levantini
di scorregge e di cavilli,
inventarono i fusilli;
scorreggiando invece a Reggio
inventarono il solfeggio.
Venne tosto l'Evo Medio
e, per rompere un po' di tedio,
scorreggiavano i Signori
in risposta ai valvassori
e sganciava Bonifazio
ricchi peti senza strazio.

Part 5 L'Evo Medio
Scorreggiavano a Firenze
per poetiche esigenze:
scorreggiava assai felice
la dolcissima Beatrice
ed il sommo padre Dante
le annusava tutte quante.
Come l'acqua, chiare e fresche
eran quelle petrarchesche,
meritevoli d'alloro
e dei lunghi capei d'oro
d'una Laura sorridente
che petava nel torrente.
Le scorregge del Boccaccio
ti lasciavano di ghiaccio:
tra le suore dei conventi
scorreggiava ai quattro venti
e ogni monaca lasciva
rispondeva assai giuliva.
Belle grasse come il lardo
le facea Matteo Boiardo.
Armeggiando ma composto
le facea soltanto Ariosto,
sempre in mezzo ai cavalieri,
ben più arditi trombettieri.
Scorreggiava Machiavelli
sradicando gli alberelli:
ma, finito lo spuntino
presso il Prence Valentino,
fece solo poche scorie
che divennero le Istorie.
Lo splendore d'ogni corte
diede al peto nuova sorte:
di petare i mecenati
si sentivano onorati
tra gli artisti piu famosi
dagli addomi assai ventosi.
Inneggianti Arianna e Bacco,
di scorregge, più d'un sacco
il Magnifico ne fece;
e vischiose come pece
le sparava Ludovico
comprimendo l'ombelico.
Proprio al suon di quel tamburo,
come tela usando il muro
del cenacolo lombardo,
il grandissimo Leonardo,
di scorregge sempre in vena,
affrescò l'Ultima Cena.
Puro gas esilarante
seppe emettere Bramante,
il gran re degli architetti,
per dar lustro a quei banchetti,
mentre a colpi di pennello
le faceva Raffaello.
Tra le quinte anche Goldoni
dava sfogo a gran soffioni.
Frizzantine, dopo i pasti,
Ie faceva Alfieri d'Asti:
ma sprezzanti, ad intervalli,
Ie scagliava contro i Galli.

Part 6 L'Era Moderna
Lungo il giorno, poi, Parini
educava i Signorini,
con precetti inconsueti,
a eleganti, caldi peti
dall'olezzo di letame,
eccitante per le dame.
Sopra un ramo del suo lago,
dei romanzi il vero mago,
detto al secolo Manzoni
si scrollava i pantaloni
dopo avere ventilato
su un amore contrastato.
Tutto ardore veneziano
parea il peto foscoliano:
ma pur tese a egregie cose,
senza il gas delle gasose
le scorregge del buon Ugo
eran fumo e niente sugo.
Pessimista, a mo' di dardi,
Ie mollava Leopardi,
mentre Silvia, bene o male,
per rispondere al segnale,
sia d`inverno che d'estate
le faceva ricamate.
Solo in casa o sulla soglia,
e non già di malavoglia,
aerandosi le terga,
Ie tirava lievi Verga:
ma da zotico ribaldo
scorreggiava Gesualdo.
Con un dito Pirandello
tratteneva il venticello
fino a che, tutto ispirato
e col ventre dilatato,
liberava gli ingranaggi
dando fiato ai personaggi.
Succulente come il miele
le plasmava Gabriele:
Ermione nel pineto
si sorbiva pioggia e peto,
ma i pastori dell'Abruzzo
emigravan da quel puzzo.
Onorava i gagliardetti
con scorregge Marinetti
mentre in ombra il buon Gozzano
le faceva piano piano
e, allargandosi la gonna,
scorreggiava anche sua nonna.
Non soltanto i letterati
fecer peti appassionati.
All`udito gran letizia
diede pur chi con perizia,
tra le note musicali
fe scorregge magistrali.
Su due piedi fermi e saldi
scorreggiava anche Vivaldi
con alcune esitazioni
nel comporre le Stagioni;
quando poi l'ebbe composte,
fece vento senza soste.
Gioacchino pesarese
col suo ritmo, a piu riprese,
rapidissimo e vivace,
scorreggiava senza pace.
E il barbiere di Siviglia
gli rendeva la pariglia.
Del maestro di Busseto
patriottico fu il peto
che sull'ali del pensiero
s'opponeva sempre fiero
con olezzo tricolore
al petar dell'invasore.
Di scorregge fu provetto
il gibboso Rigoletto;
sconreggiava Butterfly
aspettando i marinai
e il sospir della Traviata
fu un gran peto a schioppettata.
Di scorregge vasta gamma
seppe offrire il melodramma:
il concerto di quei miasmi
accendeva gli entusiasmi
e spegneva i parassiti
che non erano graditi.
Con i peti già Mascagni
sopprimeva topi e ragni
mentre invece Donizetti
tramortiva solo insetti,
emulato da Puccini
che uccideva i moscerini.
Era il peto dell'Aida
micidiale insetticida;
fecer strage d'ogni mosca
le scorregge della Tosca
e annientate senza trucco
fur le pulci dal Nabucco.
Pur la Scienza s'è fregiata
d'onorevole ventata;
cosi ieri come oggi,
senza mezzo o con appoggi,
la ricerca ha sempre avuto
vento in poppa urlante o muto.
Strofinandosi al magnete
sconreggiava già Talete.
Tutti quanti ormai sappiamo
che Pitagora da Samo
le faceva con la crema
dimostrando il teorema.
Nella vasca a Siracusa,
senza chiedere mai scusa,
le faceva anche Archimede
sollevando un solo piede
e gridando: «Gente, all'erta:
anche questa è una scoperta!»
Quando il re gli dié in affitto
le piramidi d'Egitto
per studiar la geometria,
preso forse da euforia,
dal didietro emise Euclide
una tossica anidride.
Convogliava nei cannelli
ogni peto Torricelli
e alla propria beneamata
quell'arietta riciclata,
ben compresa col mercurio,
lui spediva come augurio.
Fu Galvani in riva al mare
un bel di a paralizzare,
scaricando vento immane,
le zampette delle rane
che in pozzette soleggiate
scorreggiavano beate.
Un'elettrica raccolta
di scorregge fece Volta
e, contatele poi tutte,
lunghe, corte, belle, brutte,
le rimise tosto in fila
per dar carica alla pila.
Scorreggiò Napoleone
sotto il rombo del cannone.
"La battaglia non si perda!"
E Cambronne rispose: "Merda!"
ch'è la cosa più sicura
se di mezzo è la paura.
Queste nobili memorie
sono peti e non son storie:
a emulare tal passato
ci hanno sempre stimolato,
con sermoni flatulenti,
gl'illustrissimi docenti.
All'invito dei vegliardi
obbediscono i goliardi:
e nessun se n'abbia a male
né ci dica ch'è triviale
se noi pure qualche volta
le facciamo a briglia sciolta.
Voi, Pulzelle più educate
che le fate soffocate
e talora un po' farcite,
non sentitevi inibite.
Non è indegna d'una reggia
qualsivoglia vil scorreggia
nè ci pare maleolente
il trattato qui presente.
Aura lieve od aria spessa,
liberata se repressa,
pur di fronte a un concistoro
puo donar giusto ristoro.
Alla fin d'ogni fatica,
checchè dunque se ne dica,
di rispetto mai non manca
chi in tal modo si rinfranca.
Perciò e logico e prescritto
che scorreggi il sottoscritto.
FINE

martedì 30 dicembre 2008

Le turpi voglie della vicina . Anni di odio ed amore.

La terrazza, incastonata tra le ali della costruzione al centro della masseria era protetta su tre lati dalle ali del fabbricato stesso, mentre sul fronte una balaustra ricoperta da cotto con vasi di vari fiori, la difendeva dalla visuale dabbasso. La casa era proprietà di mia moglie ma, la terrazza la dovevamo condividere con la vicina che occupava il lato sinistro della casa. La terrazza era stato terreno di continui scontri verbali durissimi, e spesso si sfiorava la possibilità di venire alle mani. Io che ero nuovo del posto, e magari più propenso ad ammorbidire la diatriba, mi trovai nel tempo coinvolto e spessissimo oggetto degli attacchi della vicina di nome Imma, che mi preferiva a mia moglie perché lei, mia moglie, non si faceva pregare due volte per tirare botte da orbi, e lei lo sapeva. Per contrastare la sua velleità avevo preso l’abitudine di soggiornare in terrazza, dove avevo posizionato una comoda sedia sdraio con un basso tavolinetto. Ci passavo i pomeriggi del dopo lavoro, oppure le serate calde della primavera . da quella posizione subivo i suoi aforismi, spesso ignorandola, ma comunque la tenevo d’occhio. La puttana si era accorta del gioco psicologico, rispondeva con cambi di strategia. Da poco notavo che nello sbrigare le faccende di casa, quando si trovava nella zona del balcone che dà sulla terrazza, non si curava affatto di coprirsi bene le gambe abbassandosi oppure nel salire sul basso scaletto mentre puliva le tapparelle. Io sfacciato le osservavo a viso aperto, anche perché ella non osava in presenza di mia moglie. Quel pomeriggio, stravaccato sulla sedia con pantaloncini corti ed una maglietta bianca, la osservavo attentamente; ella cantava stornelli con doppi sensi, sottolineando che io e mia moglie ancora non avevamo avuto figli ( per nostra scelta credetemi!). Mi sentii piccato nell’orgoglio, la troia sapeva dove andare a solleticare. Non ressi oltre, mi alzai, e raggiunsi il suo balcone, redarguendola pesantemente, facendole leva con l’argomento “marito” ( il suo era sceso una sera per comperare le sigarette, e da tre anni ormai che non ha fatto ritorna da lei, preferì cambiare aria e città, abbandonandola) il battibecco prese una brutta piega, i toni salirono arrivando alle mani sull’uscio del balcone; le dovetti afferrare entrambe le mani, onde evitare che mi artigliasse il viso con quelle unghie affilate che si ritrovava. La tenevo a distanza di sicurezza, ma ci strattonavamo in modo violento, finché cademmo al suolo: io le finii addosso senza lasciare la presa ma, ero adagiato perfettamente tra le sue cosce aperte, con la gonna arrotolata alla vita. Il peso del mio corpo mi aiutava parecchio, date che ella pareva un’ossessa, sbraitava parole offensive. La cosa più cattiva, l’unica che mi venisse, e che più potesse offendere il suo orgoglio, mi sembrò quella di sfoggiare tutta la potenza del cazzo giovane e vigoroso del ventiquattrenne qual io ero. Facilitato dal contatto delle mie gambe nude contro le sue cosce scoperte, lisce come seta, dal fatto che il pene già premeva contro la sua fica protetta solo dal sottile velo delle mutande, ebbi la più turpe erezione che potessi ricordare; la cappella del cazzo premeva come un ariete da guerra contro il suo pube. Sentivo l’osso del bacino contro l’asta ritta, mi abbassai quel tanto che la punta centrò il vuoto della fica, quindi spinsi contro con rabbia e cattiveria contro le mutande che facevano da barriera. Più lei mi inveiva contro, più io spingevo con bramosia. Non osavo mollare la presa di una delle sue mani per poterle infilare dentro il cazzo, perciò continuai apostrofandola zoccola e puttana vecchia. Cedette, quasi di botto. Proruppe in lacrime, prima singhiozzando piano, poi sempre più forte, mollò la tensione delle braccia e si rilassò. Ne approfittai per divincolare una mano: non mosse dito; inforcai con la destra la mazza, divaricai con la punta le mutande su di un lato, e v’infilai dentro il cazzo. Scivolò dentro senza alcuna costrizione, come un coltello caldo nel panetto di burro. Ella faceva di tutto per non mostrare godimento ma, la sua fica parlava per lei. Spingevo ed avevo per obiettivo il fatto che ella non dovesse provare piacere da quella copula. Mi concentrai per non impiegare molto tempo ad arrivare all’orgasmo, pensando a come scopava la mia bellissima ed amata moglie. Vi riuscii. Venni schizzandole addosso tutto il liquido che usciva dalla mia canna. Comunque a prescindere il suo piacere l’aveva avuto anche ella. Ci alzammo ed ognuno si pulì per conto suo, io mi sedetti sulla solita sedia sdraio, pieno di orgoglio e tronfio della vendetta conseguita.
Nei giorni che seguirono, qualcosa era cambiato e si capiva dall’atteggiamento ch’ella teneva. Non rompeva più di tanto. Un altro pomeriggio a godermi il sole in terrazza seminudo, col beverone ghiacciato sul tavolino basso in vimini, rivista aperta e la più assoluta tranquillità chi mi potessi attendere. Ohe! Non comincia di nuovo la cantilena? Cazzo, e di nuovo cazzo! Non è possibile, mi ripetevo! Raggiunsi il suo balcone aperto chiamandola ed ella rispose dall’interno, cominciò così di nuovo la solita solfa, ma stavolta ero più determinato, entrai e mi diressi verso do lei che, che sembrò attendermi nel solito vestito scuro liso e rattrappito. Arrivai di fronte a lei pronto per allungarle le mani addosso, qualcosa mi colpì alla nuca persi i sensi, e fu buio totale tutt’intorno a me.
Ripresi coscienza quanto tempo dopo non lo saprei dire ma, mi trovavo in un ambiente che somigliava moltissimo alla mia cantina, il dolore alla testa era lancinante. Mi trovavo completamente nudo, legate mani e piedi con funi grezze che fissate a due pilastri adiacenti, al centro della cantina, mi tenevano aperte le braccia e le gambe. Cazzo ero prigioniero ma, di chi? Un calcio nel culo mi fece male e sobbalzai, riprendendo piena coscienza. Non stavo sognando né era un brutto incubo. La figura scura in viso di Lina mi si parò davanti. Mi sputò addosso, tirandomi un ceffone. Fece il giro intorno a me, con aria sogghignante, poi mi si fermò padrona assoluta davanti, tese la mano destra afferrando i miei genitali, scappellò il pene, scuotendolo violentemente, nel contempo lei sogghignava, un filo do bava le scendeva sul lato della bocca, da dietro improvvisamente un dito mi fu spinto nel culo; urlai per il dolore contemporaneo ai genitali ed al sedere. Dietro una figura con la testa coperta da una sorta do burka, aveva la parte inferiore completamente svestita: era una femmina, alquanto matura direi, con segni di varici appena visibili; al pube una folta peluria nera copriva la fica. Erano in due! La puttana di fronte, Lina, si adoperava per farmi venire l’erezione, infatti, aveva sollevata e fatta cadere in terra la sua veste logora, e con due dita dilatava le labbrone della fica rossa nella cornice di peli nerissimi, l’altra, la sconosciuta, mi insultava, e mi leccava le chiappe, quindi si mosse diretta verso una sedia dove c’era una pera da clistere della capienza di almeno un litro, con una canna almeno dodici centimetri, larga più di un dito medio, l’afferrò e diretta dietro di me, l’infilò nel culo senza preamboli, con una crudeltà da aguzzina, pompò dentro il liquido caldo, davanti il cazzo mi si era ormai eretto, Lina lo menava in tutta la sua lunghezza. La sconosciuta si affiancò a Lina, lasciandomi nel culo la pera inserita con la pera sospesa; si abbassò e con la bocca spalancata ingollò il mio cazzo per buona parte, contemporaneamente masturbava Lina con due dita nella fica. Le due troie se la spassavano ai miei danni. Come avrei voluto afflosciare il cazzo, come avrei voluto non raggiungere l’orgasmo per non dare loro la sborra che le puttane certamente anelavano! Non potevo fare altro che subire l’umiliazione che mi infliggevano. La sconosciuta conosceva bene l’arte del sesso, infatti, mentre pompava, lo tirava fuori dalla capace bocca e con schiaffi violenti sul cazzo, me lo intorpidiva! Ripeté innumerevoli volte il gesto, il cazzo mi sembrò inturgidirsi all’inverosimile, era fasciato da vistose innervature intorno come se fosse ricoperto da ramificazioni dell’edera. La sconosciuta, prese dalla borsetta un flaconcino, lo aprì, ne versò poche gocce su uno straccio, con quello ne intrise tutto il glande e l’asta fino ai coglioni. Lì lì non avvertii niente, poi un torpore diffuso sembrò atrofizzare i nervi del cazzo; lo osservai stupito, era divenuto rosso infiammato, la parte terminale si ingrossava assumendo la forma tipica della clava, la cappella era deformata e di dimensioni equine direi e di un rosso intensissimo. Lei lo lavò con dell’acqua e una soluzione ivi disciolta. Ciò non cambiò lo stato in cui versava il mio sesso. Lina si girò chinandosi in avanti, la sconosciuta le inforcò dentro il cazzo divenuto una mostruosità. Con molte difficoltà riuscirono a farlo entrare. Lina sculettava e spingeva avanti ed indietro, facendosi scorrere dentro la bestia, urlava laida la zoccola; la sconosciuta osservava estasiata la scena, felice come una pasqua che la sua mistura desse i risultati sperati! Era una fattucchiera! Si chinò a sua volta davanti a Lina dandole il culo, e per quello che potevo vedere Lina la stava leccando il buco del culo e la fica. Io veramente vivevo un incubo, poiché in tutto questo fare sesso, non avevo percezione né sensibilità, come se il cazzo enorme fosse un’appendice esterna del mio corpo, sì una protesi insomma! Non avrei mai avuto l’orgasmo in quelle condizioni, ormai da ore si sollazzavano col mio corpo. Quando Lina evidentemente sazia si distaccò sfilandosi il pene abnorme dal corpo, un fiotto di liquido schizzò dalla fica riversandosi al suolo e lungo le cosce, il pene mi pendeva oscillandomi fra le gambe gocciolando, con la punta sformata. La sconosciuta tecnicamente non aveva goduto, perciò le due si diedero da fare: una cassapanca al centro della cantina fu coperta da una vecchia coperta, la sconosciuta si era allontanata, tornò tenendo al laccio un caprone enorme dalle corna davvero notevoli, di un bruno chiaro, lei si avvicinò a me, con l’alta mano sparse sul pene quello che poi si rivelò del sale, il caprone leccò goloso! Ero inorridito e spaventato, il pene sempre ingrossato pendeva ed oscillava ignaro di tanto obbrobrio. Le due si diressero verso la cassapanca tirandosi dietro l’animale, con una verga descrissero tutt’intorno ad un cerchio con centro una stella pentacolare, al centro della quale era la cassapanca. La sconosciuta vi si distese di schiena, allargando le cosce, il caprone la montò aiutato da Lina che gli trastullava il pene per farlo fuoriuscire, la bestia leccava il sale distribuito sul corpo della sconosciuta. Lina era riuscita a farlo eccitare. Guidò il sesso con la mano nella fica aperta della fattucchiera, il caprone si spinse più volte dentro poi si distaccò dall’amplesso infernale, nel frattempo la fattucchiera profferiva parole strane ed incomprensibili. Una cosa potei capire un tutta quella assurda vicenda, ella aveva goduto di quei pochi istanti in cui il caprone l’aveva posseduta! Certamente quello doveva essere un rito già altre volte officiato ma, quale era il destino riservatomi, cosa mi aspettava? Forse mi avrebbero ucciso e gettato in qualche pozzo nelle campagne.
Non lo fecero. Se ho potuto narrare questa vicenda, è evidente. Io non denunciai Lina per il sequestro e gli abusi sessuali subiti, lei non mi denunciò per la violenza carnale che le feci. Chi fosse la sconosciuta tutt’ora lo ignoro e non mi interessa scoprirlo, mi piace il mistero. Mi sono unito a loro, nei riti strani ed esoterici sessuali, io non sono credulone ma una cerchia così strana dove la trovo, per passare ore di curiosità e stranezze? Lady xxx così la chiamammo in seguito, si accoppiava e credo continui a farlo con gli animali ma, sempre in un contesto mistico. L’essenza che ungendo il cazzo lo fa smisurato e lo priva della sensibilità potrebbe fruttare fior di quattrini ma, la composizione è sua e la custodisce gelosamente, dice, che la formula non è di questo mondo.
ilgobbetto .

sabato 13 dicembre 2008

Due anni in Matabeleland (1)

La convocazione mi giunse quando ormai non ci speravo più. Mesi prima, avevo fatto richiesta di trasferimento all’ufficio del personale dell’azienda dove lavoravo da oltre dieci anni. L’azienda si occupava e si occupa tutt’ora, della lavorazione dell’alluminio primario, e nel Matabeleland, c’era una succursale che operava in sinergia con la sede italiana. I cinque giorni di preavviso, li trascorsi nei preparativi, negli acquisti che non avrei potuto fare in quel paese.
L’aereo si alzò in volo passando sui tetti della periferia di Roma, diretto a sud. Attraversò il tratto di mare che separa la Sicilia dall’Africa in poco tempo, poi giù, lungo il continente nero, diretto al primo scalo: Il Cairo, in Egitto, poi a Khartoum nel Sudan, quindi a Kigali, e finalmente ad Harare nello Zimbabwe meta finale del mio viaggio. Dall’aeroporto della capitale, in treno sino a Kodoma, da dove con scassatisimi mezzi di trasporto si raggiungeva Umguza, una cittadina mista di grattacieli, case coloniali e baracche, simili ai tuguri delle favelas brasiliane.
Lo stabilimento, recintato e video sorvegliato, era moderno; lungo la strada, file di autotreni, alcuni a me di marca sconosciuta, attendevano il loro turno per caricare o scaricare. Il piazzale interno era ingombrato da pile di grossi cilindri di alluminio, lunghi circa sei o sette metri. dal diametro di venti o poco più centimetri, intorno ai quali gru e carrelli elevatori erano indaffarati al carico dei mezzi, altri invece, entravano carichi di minerale terroso e ne uscivano scarichi. In quel trambusto ognuno attendeva al compito assegnatogli senza bighellonare come spesso, si può assistere nei posti di lavoro in Italia. Mi ambientai in breve tempo grazie alle persone che già operavano in azienda, di cui uno della provincia di Cosenza, affabile e socievole, tanto che cominciammo a fare coppia fissa, nel dopolavoro e che mi fece da cicerone.
Dopo qualche settimana l’argomento sesso venne alla ribalta, poiché la mancanza di rapporti esigeva il dovuto tributo. Nuccio, diminutivo di Carmine, si adoperò a mettermi sul chi vive per quanto riguarda i rapporti con i residenti. Le malattie, i contagi la prostituzione, il contrabbando di ogni cosa possa avere un benché minimo valore.
Uscivamo qualche sera per il giro dei locali sicuri, magari alla ricerca di carne “ bianca” per il letto. Risultati: zero! Unica carne bianca era vestita di abiti talari (!), e nelle associazioni di volontariato il sesso, totalmente bandito, cazzo, tutti protesi a redimersi l’anima! Ci tenemmo lontani da questi circoli vischiosi come la pece.
Una sera nel solito locale, a parte le prostitute ragazzine, una bionda matura, spiccava là in mezzo, come neve sul cocuzzolo di una montagna. Nuccio l’agganciò agevolmente, il poco inglese a nostra disposizione, ci consentì di passare una serata diversa. Maggie si rivelò aperta e priva di inutili preconcetti. Laureata alla Liverpool University, in antropologia e biologia, aveva anch’ella difficoltà nel frequentare amicizie maschili, rifuggendo per questioni di gusti gli autoctoni. Aveva respinti rapporti con uomini neri, non cercava le dimensioni nel sesso, piuttosto se ne asteneva, e nel dirlo ci teneva a sottolineare che non ne faceva una questione razziale. Si era, ci disse, accontentata di alcuni rapporti lesbo con bianche, ma niente neri.
Si fece tardi, Maggie ci diresse presso il suo domicilio che però era a qualche chilometro distante, fuori città, direzione Kwekwe, la grossa Jeep viaggiava correndo lungo le strade polverose e deserte, a forte velocità. Maggie, nel locale si era scolata diversi drink, ma va da sé che era un’abitudinaria; Nuccio, la palpava, seduto al suo fianco e mi invitava a palparle le tette ancora sode, nonostante la matura età. Maggie guidava sospirando forte sotto l’effetto delle carezze di entrambi, quelle di Nino erano di certo più audaci, tanto che ormai con una mano, le pastrugnava la fica. Giungemmo alla meta in un paio di ore circa. La casa era in stile coloniale, tinteggiata di bianco, immersa nel buio della notte africana; la periferia di Lupane non era molto diversa da tante altre periferie del mondo, ma questa aveva in più il fatto che non viveva di luce propria, bensì del cielo rischiarato in lontananza dal ricco centro cittadino, ciò staccava la casa colonica dall’oscurità circostante.
Entrammo in casa preceduti da Maggie, salendo subito al piano superiore, lasciando le luci accese lungo il tragitto, la jeep, ferma di sbilenco davanti all’ingresso, la porta chiusa senza mandate. La scalinata in legno con balaustra dello stesso materiale era non in ottime condizioni. Il piano superiore constava diversi ambienti, la camera da letto, in fondo al corridoio, affacciava sul retro, prima di questa, un salone ed una camera da pranzo, un salotto con un balcone aperto, che dava sul lato anteriore del fabbricato. Ci buttammo sul letto lasciando gli abiti sparsi per la casa, Maggie si concedeva ad entrambi, e non perché in preda ai fumi dell’alcool, ma, e soprattutto, affamata di sesso con uomini bianchi, non importa se inglesi, americani o chissà quale nazionalità purché bianchi di pelle. Certo noi italiani non potevamo dirci bianchissimi, il sole africano ci bruciò abbronzandoci, ma cribbio eravamo pur sempre bianchi!
Maggie nuda, aperta stava sopra Nuccio, il cazzo ficcato nella fica bionda, mi offriva le natiche, io infoiato dalla lunga astinenza, le insalivai il culo e cauto le infilai dentro il pene . la stantuffai mentre ella sfogava su Nuccio la libidine della doppia penetrazione. Dopo pochi minuti, non potendo più mantenere l’orgasmo, data la lunga astinanza, mi rilasciai all’onda del piacere, e le sborrai nel culo. Appena si rilassò il cazzo, defluì dal buco, mi recai nel vicino bagno per lavarmi sotto l’acqua corrente, mentre Nuccio sbatacchiava il cazzo nella fica di Maggie, li sentivo annaspare, urlare, incitarsi a vicenda.
Il rumore colpì netto le mie orecchie, nonostante il baccano che gli impetuosi amanti producevano, percorsi il corridoio nudo col pene pendulo, che sbatacchiava tra una coscia e l’altra, fino al balcone del salotto, mi affacciai guardingo col cuore in gola, davanti alla jeep, una scassatissima auto messa di traverso con le portiere spalancate, illuminata dalla luce proveniente dalla porta d’ingresso evidentemente aperta. Mi chiedevo cosa stesse succedendo, mentre riordinai le idee, con mille e mille conclusioni nella testa, un colpo di arma da fuoco echeggiò nella casa. Le urla stanzianti di Maggie mi ferivano le orecchie. Il terrore mi bloccò, persi lucidità, mi sentivo un verme, nudo come un verme, senza difesa alcuna. Pochi attimi, per ristabilire il contatto con la realtà: ragiona, ragiona, pensa, cazzo pensa. Qui ci lasci le penne!
Maggie gridava, urlava parole che sembravano sconnesse, frammiste a singhiozzi, ma non aveva fatto parole della mia presenza.
Forse pensava che io fossi morto!
Di Nuccio non sentivo nulla, né un lamento, né movimenti di passi sulle assi del pavimento. Sicuramente era morto. Il rumore di ferraglie buttate in un sacco capii che stavano rapinando la casa, ma di Nuccio nemmeno un lamento.
Il colpo d’arma da fuoco doveva averlo ucciso.
Sbirciai facendo capolino nel corridoio. Una sagoma nera con un sacco in spalla ed una pistola in pugno, inforcava le scale; in un'altra stanza Maggie ed un altro individuo discutevano in afrikaans ed urlavano in modo concitato senza che potessi capire una virgola del battibecco. Mi ritrassi, non mi aveva scorto. Passi pesanti giù per le scale, poi all’improvviso un tonfo sordo ed un altro colpo d’arma da fuoco. Grida urla e richiami in dialetto africano, in contemporanea con le urla di Maggie.
Mi riaffacciai nel corridoio; lontano le ombre di due figure proiettate dalla luce della camera nel corridoio, mi fecero capire che potevo guadagnare le scale. Giù per le scale, sul ballatoio con uno scalino rotto, un nero riverso con un sacco e l’arma ancora nella mano in una pozza di sangue. Lo scavalcai, raggiunsi il pian terreno, cercai qualcosa da mettere in dosso. Nulla, intanto erano scesi Maggie e l’altro uomo, mi nascosi dietro un pesante tendaggio, di fronte a me alla parete, un grosso scudo ed una lancia matabele appesi in bella mostra. Due metri giudicai fino alla parete, due metri e potevo impugnare un’arma, un’arma mai usata e senza nessuna esperienza di lotta o contrasto corpo a corpo. Non avevo scelta, feci un salto e allungando le mani presi l’arma tornando dietro la tenda. Il tipo con la sinistra teneva Maggie con un braccio contorto dietro la schiena, la trascinava visitando il piano terreno aveva però nella mano destra una pistola, una vecchia Mauser ingombrante ma efficace. Maggie si attardò una frazione di secondo nella camera, protetta dalla parete, il tipo aveva la pistola abbassata sul fianco. Ero sicuro, partii con la lancia in resta, scelsi di non lanciare l’arma, non avevo alcuna certezza del risultato, la lama della lancia spinta con tutta la mia forza, penetrò tra la scapola e la colonna vertebrale, scansò una costola e si ficcò nella carne per intera, il tipo si paralizzò vibrando e vomitando sangue. Cadde in ginocchio e poi giù bocconi sul pavimento.
Avevo ucciso un uomo! Ero un assassino! Maggie liberatasi dalla presa, vomitava a sua volta il whisky ed i reflui dello stomaco. Con uno straccio avvolsi un machete preso dalla parete, e con quello troncai di netto il legno della lancia che portava le mie impronte digitali. Spezzai la lama del machete in un incastro. Afferrai Maggie ed il resto delle armi con le mie impronte, il sacco sul ballatoio e la trascinai verso la jeep. Lasciai la casa con tre cadaveri, dopo aver dato fuoco ad una tenda. Il fuoco si espanse rapidamente, dalla jeep in lontananza, scorgevo la vecchia casa colonica che ormai un rogo la divorava per intero. Spinsi la jeep con Maggie di fianco nuda come nudo ero io, a tutta velocità intimandomi di riflettere in seguito; percorrevamo la savana fendendo con i fari il buio pesto, Maggie diede segni di recupero, cominciò a scambiare qualche frase, poi si mise a dormire abbassando lo schienale. La luminosità dell’aurora, in lontananza mostrava la distesa della savana e più tardi intravidi sulla sinistra una macchia netta ergersi sulla piatta distesa erbosa. Doveva essere un bosco, diressi l’auto, in quella direzione, confidando nella copertura degli alberi che mi avrebbero nascosto da probabili ricognizioni aeree. Qualche ora più tardi ci inoltravamo nel fitto della boscaglia fino quasi alle rive di un fiumiciattolo tranquillo. Fermai il motore dell’auto, chiusi bene le portiere con il blocco delle sicure, mi concessi poche ore di sonno. Il movimento di Maggie, mi svegliò. Mancava poco alle dieci, gli animali selvatici si erano abbeverati tutti: prede e predatori. Attendemmo ancora un poco di tempo prima di azzardarci ad uscire fuori dall’auto. Maggie osservava intorno dal predellino della jeep, io con una delle due taniche della macchina, (l’altra era mezza piena di benzina), scesi sulla riva del fiume. L’acqua corrente si era schiarita, ma nulla ci assicurava che fosse potabile. Ci serviva per lavarci, poi avremmo pensato per bere. Dietro, nel vano dell’auto, v’erano un paio di bottiglie di acqua minerale ed un pacco di biscotti secchi. Recuperammo un ampio straccio residuo di vecchie lenzuola, e tagliato in due ne derivammo una seppur succinta copertura intorno ai fianchi per entrambi. Ci lavammo, lavammo via il sangue schizzato addosso a me ed a Maggie, mentre colpivo il tipo nel corridoio; riempii di nuovo la tanica per circa venti litri, la fissai sul tettuccio della jeep, sopra il portabagagli in metallo. La lunga esposizione al sole africano l’avrebbe portata alla temperatura di certo superiore ai cinquanta gradi centigradi, ciò poteva potabilizzare l’acqua, ma sulle caratteristiche organolettiche non v’era garanzia alcuna. Più tardi avremmo consumato qualche galletta della scorta, poi facemmo il punto della situazione.
-Cosa faremo adesso ? -
Chiese Maggie, forbendosi la bocca come se avesse consumato chissà quale pietanza.
- Non possiamo tornare indietro, cara, questo è un paese di neri, e qua gli “extra” siamo noi bianchi. Nella tua ex dimora ci sono due cadaveri neri ed uno bianco nudo per di più, che mancherà all’appello dei miei colleghi di lavoro! Non sarà facile far ingoiare la verità alle autorità, che saranno più propensi a pensare che una nottata di sesso con i due negroni sia finita a puttane e che un colpo di improvvisa gelosia abbia spinto l’assassino ad agire, e questo aimè potrei essere io stesso ad essere incolpato!
- Ma tu hai dato fuoco alla casa, non credo sia rimasto nulla in quell’inferno che hai generato, neanche le ossa saranno visibili domattina.
Annuii e aggiunsi che forse ci avrebbero considerati morti tutti in quel terribile rogo, restava però il mistero della jeep, ma di quelle se ne rubano a bizzeffe in Africa.
Il sole africano ardeva il paesaggio tutto d’intorno e, la tanica esposta sul tettuccio della jeep, sobbolliva quasi al tatto con la mano, avevo voluto sincerarmi. Nascosti all’ombra dei mopani, sonnecchiavamo a turno, mezzi nudi, nell’auto per non farci sorprendere dalle fiere.
Avremmo viaggiato di notte, al fresco, costeggiando il fiume per non restare senza acqua.
Quella sera sfilando dei ferretti dall’ombrello trovato nel cofano della jeep, misi insieme una specie di rudimentale arco, usando un ramo flessibile e dritto piegato ad arco usando un pezzo di filo di acceleratore chissà come finito nel baule. Lo provai ed il risultato non fu entusiasmante, ci dovevo lavorare sopra e trovare un ramo più elastico. Era però un’ancora psicologica di salvezza: possedevamo un’arma! Il sonno ristoratore e la stanchezza ebbero il sopravvento. CONTINUA

venerdì 12 dicembre 2008

Deux annè au Matabeleland 1

La convocation me joignit quand je ne nous espérais pas maintenant plus. Mois j'avais fait avant demandé, de déplacement au bureau du personnel de l'usine où je travaillais d'au-delà dix ans. L'usine s'occupait et maintenant il s'occupe tout, du travail de l'aluminium primaire, et dans le Matabeleland, il y avait une succursale qu'il opérait en synergie avec le siège italien. Les cinq jours de préavis, les passés dans les préparatifs, dans les acquisitions qui n'aurais pas pu faire dans ce pays.
L'avion se leva en vol en passant sur les toits de la banlieue de Rome, direct au sud. Il traversa le trait de mer qu'il sépare la Sicile de l'Afrique en peu de temps, puis en bas, le long du noir continent, direct à l'escale premier: Le Caire, en Egypte, puis à Khartoum dans le Soudan, donc au Kigali, et enfin à Harare dans le Zimbabwé destination finale de mon voyage. De l'aéroport de la capitale, en train même au Kodoma, d'où avec des vieux demi de transport on atteignait Umguza, une petite ville mixte de gratte-ciel, maisons coloniales et baraques, semblables aux taudis des favelas brésiliens.
L'usine entourée et écran surveillé était moderne; le long de la rue, file de poids lourds, quelques-uns à moi de marque inconnue attendait leur tour pour charger ou décharger. L'esplanade intérieure était encombrée de piles de gros hauts-de-forme d'aluminium, longs tu es environ ou sept mètres. du diamètre de vingt ou peu plus centimètres, autour à qui grue et chariots élévateurs étaient occupés à la charge des demi, autres par contre, charges de minéral terreux entraient et ils sortaient déchargements en. Dans cette confusion chacun l'attendait au devoir assigné sans flâner comme on peut souvent, assister dans les postes de travail en Italie. J'ambientai en bref temps grâce à les gens qui opéraient déjà en usine dont une de la province de Cosenza, aimable et sociable, beaucoup qui commençâmes à faire couple fixe, en l'après travail et qu'il me fit à cicérone.
Après quelque semaine le sujet sexe vint à la rampe, car le manque de rapports exigeait la contribution dûe. Nuccio, diminutif de Carmine, il se prodigua à me mettre sur le qui vives en ce qui concerne les rapports avec les résidents. Les maladies, les contagions la prostitution, la contrebande de tout puisse avoir un bien que moindre valeur.
Nous sortions quelque soir pour le tour des pièces sûres, peut-être à la recherche de viande blanche" pour le lit. Résulté: zéro! Viande blanche unique était habillée d'habits talari (!), et dans les associations de volontariat le sexe, totalement bandit, mon Dieu, tous tendus à se racheter l'âme! nous nous tînmes lointains de ces cercles visqueux comme la poix.
Un soir dans la pièce habituelle, à la partie les prostituées baby, une blonde mûre détachait là en demi comme neige sur le sommet d'une montagne. Nuccio l'accrocha facilement, le peu d'Anglais à notre disposition permit y de passer une soirée différente. Maggie se révéla ouvert et dépourvue de préjugés inutiles. Attribuée un titre universitaire au Liverpool University, en anthropologie et biologie, il l'avait aussi difficulté en le fréquenter amitiés masculines en ayant horreur pour problèmes de goûts les autochtones. Il avait repoussé rapports avec des hommes noirs, il ne cherchait pas les dimensions dans le sexe, plutôt il s'abstenait son, et en le lui dire il nous tenait à souligner qu'il en ne faisait pas un problème racial. Vous était, il nous dit, contentée de quelques rapports lesbo avec blanches, mais rien noir.
Tard il se fit, Maggie nous dirigea près de son domicile que cependant il était à quelque kilomètre éloigné, hors ville, direction Kwekwe, la grosse Jeep voyageait en courant le long des rues poussiéreuses et désertes à la vitesse forte. Maggie, dans la pièce on était égoutté différents drink, mais il va de soi qui était une routinière; Nuccio la palpait, assis à sa hanche et il m'invitait à leur palper encore les tétons durs, malgré l'âge mûr. Maggie guidait en soupirant dessous fort l'effet des caresses des deux, celles de Nino ils étaient de certain plus audacieux, beaucoup qui maintenant avec une main, sur la chatte. Nous joignîmes à la destination environ dans une paire d'heures. La maison était en style colonial, peinte de blanc, immergée dans l'obscurité de la nuit africaine; la banlieue de Lupane n'était pas très différente de nombreuses autres banlieues du monde, mais celle-ci avait en plus le fait qui ne vivait pas de propre lumière, mais du ciel éclairé en éloignement du riche centre citadin, ceci détachait la maison de paysans de l'obscurité environnante.
Nous entrâmes en maison précédée par Maggie, tout de suite en montant à l'étage supérieur, en laissant les lumières alluma le long du trajet, la jeep, arrêté de bancal devant l'entrée, la porte fermé sans vous envoyez. Le perron en bois avec balustrade du même matériel était pas en conditions excellentes. L'étage supérieur se composait différents milieux, la chambre à coucher, le couloir montrait sur le derrière au bout de, premier de celle-ci, un salon et une salle à manger, un salon avec un balcon ouvert, qu'il donnait sur le côté antérieur du bâtiment. Nous nous jetâmes sur le lit en laissant les habits éparpillés pour la maison, Maggie il se donnait aux deux, et pas parce qu'en proie aux fumées de l'alcool, mais, et affamée de sexe avec des hommes blancs n'importe pas surtout, si Anglais, Américains ou peut-être quel nationalité pourvu que blancs de peau. Certainement nous italiens nous ne pouvions pas nous dire blancs, le soleil africain il nous brûla en nous bronzant, mais parbleau, nous étions toujours aussi blancs!
Maggie nu, ouverte il restait sur Nuccio, la bite fourré dans la chatte blond m'offrait les fesses, j'infoiato de la longue abstinence, je léchai le cul et prudent je leur enfilai dans le pénis. le baiseè pendant qu'elle passait sur Nuccio la luxure de la pénétration double. Après peu minutes, en ne pouvant plus maintenir l'orgasme, donne la longue abstinence, je me relaxai au flot du plaisir et les je versai le sperme dans le cul. Il se détendit à peine la bite, il s'écoula du trou, je me rendis dans le bain voisin pour me laver dessous l'eau courante, pendant que Nuccio claquait la bite dans la chatte de Maggie, je les entendais dévider, hurler, les inciter à l'événement.
Le bruit frappa net mes oreilles, malgré le vacarme qui produisaient, parcouru le couloir nu avec le pénis ,penché qu'il claquait entre une cuisse et l'autre, jusqu'à le le balcon du salon, je me montrai circonspect avec le coeur en gorge, devant la jeep, une auto détraquée mise de travers avec les portières grand ouvertes évidemment éclairée par la lumière provenante de la porte d'entrée ouverte. Je me demandais chose il fût en train de succéder, pendant que je rangeai les idées, avec mille et mille conclusions dans la tête, un coup d'arme de feu retentit dans la maison. Les cris horribles de Maggie me blessaient les oreilles. La terreur me bloqua, polis perdus se sentaient un ver, nu comme un ver, sans défense quelque. Peu instants, pour rétablir le contact avec la réalité: il raisonne, il raisonne, il pense, mon Dieu, pense. Je laisse ici y les stylos!
Maggie criait, il hurlait mots qu'elles semblaient disjointes, entremêlées aux hoquets, mais il n'avait pas fait mots de ma présence.
Il pensait peut-être que je fusse mort!
De Nuccio je n'entendais rien, ni une plainte, ni mouvements de pas sur les planches du plancher. Il était sûrement mort. Le bruit de ferrailles jeté dans un sac je compris qu'ils étaient en train de voler la maison, mais de Nuccio non plus une plainte.
Le coup d'arme de feu devait l'avoir tué.
Je lorgnai en faisant montrai dans le couloir. Une silhouette noire avec un sac en épaule et un pistolet en main enfourchait les escaliers; dans une autre pièce Maggie et un autre individu discutaient en afrikaans et ils hurlaient de manière très excité sans que je pusse comprendre une virgule de la prise de bec. Je reculai, il ne m'avait pas aperçu. Pas lourds en bas pour les escaliers, puis au soudain un bruit sourd sourd et un autre coup d'arme de feu. Il crie cris et rappels en dialecte africain, en contemporaine avec les cris de Maggie.
Je montrai dans le couloir; loin les ombres de deux illustrations projetées par la lumière de la chambre dans le couloir me firent comprendre que je pouvais gagner les escaliers. En bas pour les escaliers, sur la galerie avec une marche cassée, un noir je reverse encore avec un sac et l'arme dans la main dans une mare de sang. Je le sautai, j'atteignis le pian terrestre, je cherchai quelque chose à mettre en dos. Rien, entre temps Maggie et l'autre homme étaient descendus, je me cachai derrière une tenture lourde, devant moi au mur, un gros bouclier et une lance matabele suspendus en belle exposition. Deux mètres je jugeai jusqu'à le le mur, deux mètres et je pouvais saisir une arme, une arme jamais utilisée et sans aucune expérience de lutte ou je contrarie corps au corps. Je n'avais pas de choix, je fis un saut et en allongeant les mains prises l'arme en revenant derrière la tente. Le type avec la gauche Maggie tenait avec un bras derrière tordu le dos, il la traînait en visitant le rez-de-chaussée il avait dans la main droite cependant un pistolet, un vieux Mauser encombrant mais efficace. Maggie s'attarda une fraction de seconde dans la chambre, protégée par le mur, le type avait le pistolet baissé sur la hanche. J'étais sûr, je partis avec la lance en il reste, je choisis de ne pas lancer l'arme, je n'avais pas quelque certitude du résultat, la lame de la lance excessive avec toute ma force pénétra entre l'omoplate et la colonne vertébrale, il écarta une côte et il se fourra dans la viande pour entière, le type on paralysa en vibrant et en vomissant sang. Il tomba en genou et puis en bas bouchées sur le plancher.
J'avais tué un homme! J'étais un assassin! Maggie libéré le de la prise, il vomissait le whisky et les contenu de l'estomac à son tour. Avec un chiffon j'enveloppai une machette prise par le mur, et avec celui-là je tronquai le bois de la lance qui portait mes empreintes digitales net. Je rompis la lame de la machette dans un encastrement. Je saisis Maggie et le reste des armes avec mes empreintes, le sac sur la galerie et je la traînai vers la jeep. Je laissai la maison avec trois cadavres, après avoir donné feu à une tente. Le feu se répandit rapidement, de la jeep en éloignement, j'apercevais la vieille maison de paysans qui la dévorait maintenant entièrement. Je poussai la jeep avec du Maggie de hanche nue comme nu j'étais je, à toute vitesse en m'intimant de par la suite réfléchir; nous parcourions la savane en fendant avec les phares l'obscurité je pile, Maggie donna signes de recouvrement, il commença à échanger quelque phrase, puis il se mit à dormir en baissant le dossier. La luminosité de l'aurore, en éloignement il montrait l'étendue de la savane et plus tard j'aperçus sur la gauche une tache nette se dresser sur l'étendue herbeuse plate. Il devait être un bois, je dirigeai l'auto, dans cette direction, en confiant dans la couverture des arbres qui m'auraient caché d'examens aériens probables. Plus tard quelque heure nous nous enfoncions dans le coeur du maquis au point de presque aux bords d'un petit fleuve tranquille. J'arrêtai le moteur de l'auto, bien fermé les portières avec le bloc des sûres m'accordées peu heures de sommeil. Le mouvement de Maggie me réveilla. Il manquait à dix heures peu, les animaux sauvages s'étaient abreuvés tous: proies et prédateurs. Nous attendîmes encore un peu de temps avant de nous hasarder à sortir de l'auto dehors. Maggie observait du marchepied de la jeep autour, j'avec un des deux bidons de la voiture, (l'autre était demi crue d'essence, descendu sur le bord du fleuve. L'eau courante s'était éclaircie, mais rien nous assurait qu'il fût potable. Il servait y pour nous laver, puis nous aurions pensé pour boire. Derrière, en le vain de l'auto, il y avait une paire de bouteilles d'eau minérale et un paquet de biscuits secs. Nous récupérâmes un reste usé ample de vieux draps, et coupé en deux nous en dérivâmes autour d'une couverture courte le les hanches pour les deux. Nous nous lavâmes, nous lavâmes le sang éclaboussé ailleurs j'adosse à moi et au Maggie, pendant que je frappais le type dans le couloir; je remplis le bidon de nouveau pour environ vingt litres, je la fixai sur le petit toit de la jeep, sur le porte-bagages en métal. La longue exposition au soleil africain l'aurait portée à la température de certain supérieur aux cinquante degrés centigrades, ceci il pouvait rendre potablel'eau, mais sur les organolettiche caractéristiques il y n'avait pas garantie quelque. Plus tard nous aurions usé quelques bisciut de l'escorte, puis nous fîmes le point de la situation.
- Chose maintenant nous ferons? -
Maggie demanda, en les essuyant la bouche comme s'il eût peut-être usé quel plat.
- Nous ne pouvons pas revenir en arrière, chérie, ceci est un pays de noirs, et ici "les extra nous sommes nous blancs. Dans ton domicile ancien il y a en outre deux cadavres noirs et un nu blanc, qu'il manquera à l'appel de mes collègues de travail! Il ne sera pas facile de faire avaler la vérité aux autorités qui seront plus enclins à penser qu'une nuit de sexe avec les deux gros negre soit finie au putain et qu'un coup de jalousie soudaine ait poussé l'assassin à agir, et cet je pourrais être je même à être inculpé!
- Mais tu as mis le feu à la maison, je ne crois rien je sois resté dans cet enfer que tu as engendré, les os seront demain matin visibles non plus.
J'acquiesçai d'un signe de la tête et j'ajoutai qu'ils auraient peut-être considéré morts nous tous dans ce bûcher terrible restaient le mystère de la jeep cependant, mais de celles-là en volent à foison en Afrique.
Le soleil africain brûlait le paysage tout d'autour et, le bidon exposé sur le petit toit de la jeep bouillonnait presque au toucher avec la main, j'avais voulu m'assurer. Caché à l'ombre des mopani, nous sommeillions au tour, demi nus, dans l'auto pour ne pas faire nous surprendre des foires.
Nous aurions la nuit voyagé, au frais, en côtoyant le fleuve pour ne pas rester sans eau.
Ce soir qui en défile des bouts de fer trouvé par le parapluie dans le coffre de la jeep, je mis une espèce d'arc rudimentaire ensemble, en utilisant une branche flexible et droit plié à l'arc en utilisant peut-être un bout de fil d'accélérateur comme fini dans la malle. Je l'essayai et le résultat ne fut pas enthousiasmant, je devais nous travailler sur et trouver une branche plus élastique. C'était une ancre cependant psychologique de salut: nous possédions une arme! Le sommeil réparateur et la fatigue eurent l'avantage. CONTINUA