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mercoledì 31 dicembre 2008

Poesia goliardica: La rosa dei venti.

Part. 1 La genesi

Sin da quando il mondo aveva
ancor vivi Adamo ed Eva,
era in voga in tutti quanti
un riparo li davanti.
Ma nessun pensò, che strano,
di coprirsi il deretano.
E così dall'orifizio,
per bisogno oppur per sfizio,
calda arietta prima oppressa
variamente fu trasmessa
con sussurro un po' confuso
o con colpo d'archibuso.
In antico i vari suoni
non urtavano i calzoni:
né gli strappi repentini,
capricciosi o pizzichini
né le loffe più discrete
conturbavano la quiete.
La melodica emissione
per anal stimolazione
e anche il peto tracotante
dal fragore dilaniante
ebbe grande rinomanza
e innegabile fragranza.
Tanto grato fu l'odore
di quel vento propulsore
che l'usanza fu apprezzata
e dai posteri adottata
con piacere sovrumano
sia del retto che dell'ano.
Fin da quando sodomiti,
d'ogni musica periti,
per eccesso di misura
s'otturavan l'apertura,
la scorreggia di gran gloria
s'e coperta nella storia.

Part.2 L'Hellenicae

Con sconquasso intestinale
e tremore universale,
dall'Olimpo i sacri Numi
deviavan tanti fiumi
e asciugavano i pantani
col soffion dei deretani.
Un bel peto giornaliero
intonava il vate Omero.
Scorreggiava il re di Troia
finche un dì tirò le cuoia
e pungenti come spille
le faceva il prode Achille.
Di scorregge astute Ulisse
tutti quanti in guerra afflisse.
Si sa pur che dal cavallo
fuorusciva vento giallo
e Penelope da sola
ingialliva le lenzuola.
Agamennone all'attacco
le faceva a squarciasacco.
Sibilanti e a vasto raggio
eran quelle d'ogni ostaggio.
E Cassandra profetessa
scorreggiava come ossessa.
Ci ha Platone riferito
che di Socrate erudito,
poi che bevve la spremuta
d'amarissima cicuta,
trafiggente come scheggia
parve l'ultima scorreggia.
I coltissimi Ateniesi,
se da coliche eran presi,
dilatavan lo sfintere
emettendo dal sedere
filosofiche ventate
molto acute e ponderate.
Gli Spartani, da Licurgo
impararono lo spurgo
dei piu fetidi elementi
che producono fermenti:
e di drastiche zaffate
saturavan le adunate.

Part 3 Urbs ROMAE

Ma fondata che fu Roma,
ogni greco cadde in coma
poiché in lega con gli Etruschi,
i Romani, a peti bruschi
e col gas delle fanfare,
cominciarono a imperare.
Tutti i popoli, asfissiati,
furon presto soggiogati
e il Senato, tra gli allori,
diede l'ordine ai Pretori
di dettare ovunque legge
coll'ausilio di scorregge.
Venne poi innalzato un tempio
a chi diede il primo esempio:
proprio Romolo in persona
s'era messa la corona
sopprimendo il fratellino
con il gas dell'intestino.
Ogni nobile patrizio
scorreggiava con giudizio:
il fragor di Coriolano
si sentiva da lontano
e con schiaffo sulla trippa
scorreggiava pure Agrippa.
Si suol dir che Cincinnato
scorreggiasse in mezzo al prato,
e che Manlio in Campidoglio
le lisciasse come l'olio
accorrendo alle non poche
spernacchiate delle oche.
Muzio Scevola a Porsenna
fece un peto come strenna
mentre peti da bisonte
fece Coclite sul ponte
e arditissimi petini
fece Clelia tra i Chiusini.
Rivolgendosi agli Dei
scorreggiavano i plebei.
Ma alle feste d`lmeneo
il triumviro Pompeo
e più ancora il gran Lucullo
scorreggiavan per trastullo.
Ciceron, per ore intere,
chiacchierava col sedere
ma sul far della mattina
scorreggiava Catilina
dedicando all'Arpinate
insolenti serenate.
Scorreggiava come un tuono
fin Cleopatra dal suo trono
mentre Cesare, suo drudo,
le faceva sempre nudo
ed Antonio, grande e grosso,
scorreggiava a piu non posso.
Pure Augusto Imperatore
scorreggiava a tutte l'ore
con la corte sua perfetta
scorreggiante in etichetta,
mentre solo in casi gravi
scorreggiavano gli schiavi.
Si racconta che Tiberio
scorreggiasse serio serio,
che Caligola il tiranno
scorreggiasse tutto l'anno,
che Traiano in quel di Dacia
scorreggiasse con audacia.
Scorreggiava l'Urbe intera
dal mattino fino a sera.
Scorreggiava in grande stile
anche il sesso femminile
e Cornelia ai suoi gioielli
ne faceva dei fardelli.
Scorreggiava senza posa
Messalina silenziosa,
imitata da Agrippina
che facevale in sordina.
E coi peti le Vestali ci
spegnevano i fanali.

Part 4 Barbariae ventis

Le barbariche calate,
da scorregge accompagnate,
provocaron nei Romani,
prorompenti un di dagli ani,
tale e tanta ristrettezza
che il fragor si mutò in brezza.
Di scorregge, Goti e Franchi
non sembravano mai stanchi.
Pur sconfitti, i Longobardi
scorreggiavano testardi
mentre gli Arabi ad oltranza
si sfiatavano la panza.
A Ravenna i Bizantini,
grandi esperti levantini
di scorregge e di cavilli,
inventarono i fusilli;
scorreggiando invece a Reggio
inventarono il solfeggio.
Venne tosto l'Evo Medio
e, per rompere un po' di tedio,
scorreggiavano i Signori
in risposta ai valvassori
e sganciava Bonifazio
ricchi peti senza strazio.

Part 5 L'Evo Medio
Scorreggiavano a Firenze
per poetiche esigenze:
scorreggiava assai felice
la dolcissima Beatrice
ed il sommo padre Dante
le annusava tutte quante.
Come l'acqua, chiare e fresche
eran quelle petrarchesche,
meritevoli d'alloro
e dei lunghi capei d'oro
d'una Laura sorridente
che petava nel torrente.
Le scorregge del Boccaccio
ti lasciavano di ghiaccio:
tra le suore dei conventi
scorreggiava ai quattro venti
e ogni monaca lasciva
rispondeva assai giuliva.
Belle grasse come il lardo
le facea Matteo Boiardo.
Armeggiando ma composto
le facea soltanto Ariosto,
sempre in mezzo ai cavalieri,
ben più arditi trombettieri.
Scorreggiava Machiavelli
sradicando gli alberelli:
ma, finito lo spuntino
presso il Prence Valentino,
fece solo poche scorie
che divennero le Istorie.
Lo splendore d'ogni corte
diede al peto nuova sorte:
di petare i mecenati
si sentivano onorati
tra gli artisti piu famosi
dagli addomi assai ventosi.
Inneggianti Arianna e Bacco,
di scorregge, più d'un sacco
il Magnifico ne fece;
e vischiose come pece
le sparava Ludovico
comprimendo l'ombelico.
Proprio al suon di quel tamburo,
come tela usando il muro
del cenacolo lombardo,
il grandissimo Leonardo,
di scorregge sempre in vena,
affrescò l'Ultima Cena.
Puro gas esilarante
seppe emettere Bramante,
il gran re degli architetti,
per dar lustro a quei banchetti,
mentre a colpi di pennello
le faceva Raffaello.
Tra le quinte anche Goldoni
dava sfogo a gran soffioni.
Frizzantine, dopo i pasti,
Ie faceva Alfieri d'Asti:
ma sprezzanti, ad intervalli,
Ie scagliava contro i Galli.

Part 6 L'Era Moderna
Lungo il giorno, poi, Parini
educava i Signorini,
con precetti inconsueti,
a eleganti, caldi peti
dall'olezzo di letame,
eccitante per le dame.
Sopra un ramo del suo lago,
dei romanzi il vero mago,
detto al secolo Manzoni
si scrollava i pantaloni
dopo avere ventilato
su un amore contrastato.
Tutto ardore veneziano
parea il peto foscoliano:
ma pur tese a egregie cose,
senza il gas delle gasose
le scorregge del buon Ugo
eran fumo e niente sugo.
Pessimista, a mo' di dardi,
Ie mollava Leopardi,
mentre Silvia, bene o male,
per rispondere al segnale,
sia d`inverno che d'estate
le faceva ricamate.
Solo in casa o sulla soglia,
e non già di malavoglia,
aerandosi le terga,
Ie tirava lievi Verga:
ma da zotico ribaldo
scorreggiava Gesualdo.
Con un dito Pirandello
tratteneva il venticello
fino a che, tutto ispirato
e col ventre dilatato,
liberava gli ingranaggi
dando fiato ai personaggi.
Succulente come il miele
le plasmava Gabriele:
Ermione nel pineto
si sorbiva pioggia e peto,
ma i pastori dell'Abruzzo
emigravan da quel puzzo.
Onorava i gagliardetti
con scorregge Marinetti
mentre in ombra il buon Gozzano
le faceva piano piano
e, allargandosi la gonna,
scorreggiava anche sua nonna.
Non soltanto i letterati
fecer peti appassionati.
All`udito gran letizia
diede pur chi con perizia,
tra le note musicali
fe scorregge magistrali.
Su due piedi fermi e saldi
scorreggiava anche Vivaldi
con alcune esitazioni
nel comporre le Stagioni;
quando poi l'ebbe composte,
fece vento senza soste.
Gioacchino pesarese
col suo ritmo, a piu riprese,
rapidissimo e vivace,
scorreggiava senza pace.
E il barbiere di Siviglia
gli rendeva la pariglia.
Del maestro di Busseto
patriottico fu il peto
che sull'ali del pensiero
s'opponeva sempre fiero
con olezzo tricolore
al petar dell'invasore.
Di scorregge fu provetto
il gibboso Rigoletto;
sconreggiava Butterfly
aspettando i marinai
e il sospir della Traviata
fu un gran peto a schioppettata.
Di scorregge vasta gamma
seppe offrire il melodramma:
il concerto di quei miasmi
accendeva gli entusiasmi
e spegneva i parassiti
che non erano graditi.
Con i peti già Mascagni
sopprimeva topi e ragni
mentre invece Donizetti
tramortiva solo insetti,
emulato da Puccini
che uccideva i moscerini.
Era il peto dell'Aida
micidiale insetticida;
fecer strage d'ogni mosca
le scorregge della Tosca
e annientate senza trucco
fur le pulci dal Nabucco.
Pur la Scienza s'è fregiata
d'onorevole ventata;
cosi ieri come oggi,
senza mezzo o con appoggi,
la ricerca ha sempre avuto
vento in poppa urlante o muto.
Strofinandosi al magnete
sconreggiava già Talete.
Tutti quanti ormai sappiamo
che Pitagora da Samo
le faceva con la crema
dimostrando il teorema.
Nella vasca a Siracusa,
senza chiedere mai scusa,
le faceva anche Archimede
sollevando un solo piede
e gridando: «Gente, all'erta:
anche questa è una scoperta!»
Quando il re gli dié in affitto
le piramidi d'Egitto
per studiar la geometria,
preso forse da euforia,
dal didietro emise Euclide
una tossica anidride.
Convogliava nei cannelli
ogni peto Torricelli
e alla propria beneamata
quell'arietta riciclata,
ben compresa col mercurio,
lui spediva come augurio.
Fu Galvani in riva al mare
un bel di a paralizzare,
scaricando vento immane,
le zampette delle rane
che in pozzette soleggiate
scorreggiavano beate.
Un'elettrica raccolta
di scorregge fece Volta
e, contatele poi tutte,
lunghe, corte, belle, brutte,
le rimise tosto in fila
per dar carica alla pila.
Scorreggiò Napoleone
sotto il rombo del cannone.
"La battaglia non si perda!"
E Cambronne rispose: "Merda!"
ch'è la cosa più sicura
se di mezzo è la paura.
Queste nobili memorie
sono peti e non son storie:
a emulare tal passato
ci hanno sempre stimolato,
con sermoni flatulenti,
gl'illustrissimi docenti.
All'invito dei vegliardi
obbediscono i goliardi:
e nessun se n'abbia a male
né ci dica ch'è triviale
se noi pure qualche volta
le facciamo a briglia sciolta.
Voi, Pulzelle più educate
che le fate soffocate
e talora un po' farcite,
non sentitevi inibite.
Non è indegna d'una reggia
qualsivoglia vil scorreggia
nè ci pare maleolente
il trattato qui presente.
Aura lieve od aria spessa,
liberata se repressa,
pur di fronte a un concistoro
puo donar giusto ristoro.
Alla fin d'ogni fatica,
checchè dunque se ne dica,
di rispetto mai non manca
chi in tal modo si rinfranca.
Perciò e logico e prescritto
che scorreggi il sottoscritto.
FINE

martedì 30 dicembre 2008

Le turpi voglie della vicina . Anni di odio ed amore.

La terrazza, incastonata tra le ali della costruzione al centro della masseria era protetta su tre lati dalle ali del fabbricato stesso, mentre sul fronte una balaustra ricoperta da cotto con vasi di vari fiori, la difendeva dalla visuale dabbasso. La casa era proprietà di mia moglie ma, la terrazza la dovevamo condividere con la vicina che occupava il lato sinistro della casa. La terrazza era stato terreno di continui scontri verbali durissimi, e spesso si sfiorava la possibilità di venire alle mani. Io che ero nuovo del posto, e magari più propenso ad ammorbidire la diatriba, mi trovai nel tempo coinvolto e spessissimo oggetto degli attacchi della vicina di nome Imma, che mi preferiva a mia moglie perché lei, mia moglie, non si faceva pregare due volte per tirare botte da orbi, e lei lo sapeva. Per contrastare la sua velleità avevo preso l’abitudine di soggiornare in terrazza, dove avevo posizionato una comoda sedia sdraio con un basso tavolinetto. Ci passavo i pomeriggi del dopo lavoro, oppure le serate calde della primavera . da quella posizione subivo i suoi aforismi, spesso ignorandola, ma comunque la tenevo d’occhio. La puttana si era accorta del gioco psicologico, rispondeva con cambi di strategia. Da poco notavo che nello sbrigare le faccende di casa, quando si trovava nella zona del balcone che dà sulla terrazza, non si curava affatto di coprirsi bene le gambe abbassandosi oppure nel salire sul basso scaletto mentre puliva le tapparelle. Io sfacciato le osservavo a viso aperto, anche perché ella non osava in presenza di mia moglie. Quel pomeriggio, stravaccato sulla sedia con pantaloncini corti ed una maglietta bianca, la osservavo attentamente; ella cantava stornelli con doppi sensi, sottolineando che io e mia moglie ancora non avevamo avuto figli ( per nostra scelta credetemi!). Mi sentii piccato nell’orgoglio, la troia sapeva dove andare a solleticare. Non ressi oltre, mi alzai, e raggiunsi il suo balcone, redarguendola pesantemente, facendole leva con l’argomento “marito” ( il suo era sceso una sera per comperare le sigarette, e da tre anni ormai che non ha fatto ritorna da lei, preferì cambiare aria e città, abbandonandola) il battibecco prese una brutta piega, i toni salirono arrivando alle mani sull’uscio del balcone; le dovetti afferrare entrambe le mani, onde evitare che mi artigliasse il viso con quelle unghie affilate che si ritrovava. La tenevo a distanza di sicurezza, ma ci strattonavamo in modo violento, finché cademmo al suolo: io le finii addosso senza lasciare la presa ma, ero adagiato perfettamente tra le sue cosce aperte, con la gonna arrotolata alla vita. Il peso del mio corpo mi aiutava parecchio, date che ella pareva un’ossessa, sbraitava parole offensive. La cosa più cattiva, l’unica che mi venisse, e che più potesse offendere il suo orgoglio, mi sembrò quella di sfoggiare tutta la potenza del cazzo giovane e vigoroso del ventiquattrenne qual io ero. Facilitato dal contatto delle mie gambe nude contro le sue cosce scoperte, lisce come seta, dal fatto che il pene già premeva contro la sua fica protetta solo dal sottile velo delle mutande, ebbi la più turpe erezione che potessi ricordare; la cappella del cazzo premeva come un ariete da guerra contro il suo pube. Sentivo l’osso del bacino contro l’asta ritta, mi abbassai quel tanto che la punta centrò il vuoto della fica, quindi spinsi contro con rabbia e cattiveria contro le mutande che facevano da barriera. Più lei mi inveiva contro, più io spingevo con bramosia. Non osavo mollare la presa di una delle sue mani per poterle infilare dentro il cazzo, perciò continuai apostrofandola zoccola e puttana vecchia. Cedette, quasi di botto. Proruppe in lacrime, prima singhiozzando piano, poi sempre più forte, mollò la tensione delle braccia e si rilassò. Ne approfittai per divincolare una mano: non mosse dito; inforcai con la destra la mazza, divaricai con la punta le mutande su di un lato, e v’infilai dentro il cazzo. Scivolò dentro senza alcuna costrizione, come un coltello caldo nel panetto di burro. Ella faceva di tutto per non mostrare godimento ma, la sua fica parlava per lei. Spingevo ed avevo per obiettivo il fatto che ella non dovesse provare piacere da quella copula. Mi concentrai per non impiegare molto tempo ad arrivare all’orgasmo, pensando a come scopava la mia bellissima ed amata moglie. Vi riuscii. Venni schizzandole addosso tutto il liquido che usciva dalla mia canna. Comunque a prescindere il suo piacere l’aveva avuto anche ella. Ci alzammo ed ognuno si pulì per conto suo, io mi sedetti sulla solita sedia sdraio, pieno di orgoglio e tronfio della vendetta conseguita.
Nei giorni che seguirono, qualcosa era cambiato e si capiva dall’atteggiamento ch’ella teneva. Non rompeva più di tanto. Un altro pomeriggio a godermi il sole in terrazza seminudo, col beverone ghiacciato sul tavolino basso in vimini, rivista aperta e la più assoluta tranquillità chi mi potessi attendere. Ohe! Non comincia di nuovo la cantilena? Cazzo, e di nuovo cazzo! Non è possibile, mi ripetevo! Raggiunsi il suo balcone aperto chiamandola ed ella rispose dall’interno, cominciò così di nuovo la solita solfa, ma stavolta ero più determinato, entrai e mi diressi verso do lei che, che sembrò attendermi nel solito vestito scuro liso e rattrappito. Arrivai di fronte a lei pronto per allungarle le mani addosso, qualcosa mi colpì alla nuca persi i sensi, e fu buio totale tutt’intorno a me.
Ripresi coscienza quanto tempo dopo non lo saprei dire ma, mi trovavo in un ambiente che somigliava moltissimo alla mia cantina, il dolore alla testa era lancinante. Mi trovavo completamente nudo, legate mani e piedi con funi grezze che fissate a due pilastri adiacenti, al centro della cantina, mi tenevano aperte le braccia e le gambe. Cazzo ero prigioniero ma, di chi? Un calcio nel culo mi fece male e sobbalzai, riprendendo piena coscienza. Non stavo sognando né era un brutto incubo. La figura scura in viso di Lina mi si parò davanti. Mi sputò addosso, tirandomi un ceffone. Fece il giro intorno a me, con aria sogghignante, poi mi si fermò padrona assoluta davanti, tese la mano destra afferrando i miei genitali, scappellò il pene, scuotendolo violentemente, nel contempo lei sogghignava, un filo do bava le scendeva sul lato della bocca, da dietro improvvisamente un dito mi fu spinto nel culo; urlai per il dolore contemporaneo ai genitali ed al sedere. Dietro una figura con la testa coperta da una sorta do burka, aveva la parte inferiore completamente svestita: era una femmina, alquanto matura direi, con segni di varici appena visibili; al pube una folta peluria nera copriva la fica. Erano in due! La puttana di fronte, Lina, si adoperava per farmi venire l’erezione, infatti, aveva sollevata e fatta cadere in terra la sua veste logora, e con due dita dilatava le labbrone della fica rossa nella cornice di peli nerissimi, l’altra, la sconosciuta, mi insultava, e mi leccava le chiappe, quindi si mosse diretta verso una sedia dove c’era una pera da clistere della capienza di almeno un litro, con una canna almeno dodici centimetri, larga più di un dito medio, l’afferrò e diretta dietro di me, l’infilò nel culo senza preamboli, con una crudeltà da aguzzina, pompò dentro il liquido caldo, davanti il cazzo mi si era ormai eretto, Lina lo menava in tutta la sua lunghezza. La sconosciuta si affiancò a Lina, lasciandomi nel culo la pera inserita con la pera sospesa; si abbassò e con la bocca spalancata ingollò il mio cazzo per buona parte, contemporaneamente masturbava Lina con due dita nella fica. Le due troie se la spassavano ai miei danni. Come avrei voluto afflosciare il cazzo, come avrei voluto non raggiungere l’orgasmo per non dare loro la sborra che le puttane certamente anelavano! Non potevo fare altro che subire l’umiliazione che mi infliggevano. La sconosciuta conosceva bene l’arte del sesso, infatti, mentre pompava, lo tirava fuori dalla capace bocca e con schiaffi violenti sul cazzo, me lo intorpidiva! Ripeté innumerevoli volte il gesto, il cazzo mi sembrò inturgidirsi all’inverosimile, era fasciato da vistose innervature intorno come se fosse ricoperto da ramificazioni dell’edera. La sconosciuta, prese dalla borsetta un flaconcino, lo aprì, ne versò poche gocce su uno straccio, con quello ne intrise tutto il glande e l’asta fino ai coglioni. Lì lì non avvertii niente, poi un torpore diffuso sembrò atrofizzare i nervi del cazzo; lo osservai stupito, era divenuto rosso infiammato, la parte terminale si ingrossava assumendo la forma tipica della clava, la cappella era deformata e di dimensioni equine direi e di un rosso intensissimo. Lei lo lavò con dell’acqua e una soluzione ivi disciolta. Ciò non cambiò lo stato in cui versava il mio sesso. Lina si girò chinandosi in avanti, la sconosciuta le inforcò dentro il cazzo divenuto una mostruosità. Con molte difficoltà riuscirono a farlo entrare. Lina sculettava e spingeva avanti ed indietro, facendosi scorrere dentro la bestia, urlava laida la zoccola; la sconosciuta osservava estasiata la scena, felice come una pasqua che la sua mistura desse i risultati sperati! Era una fattucchiera! Si chinò a sua volta davanti a Lina dandole il culo, e per quello che potevo vedere Lina la stava leccando il buco del culo e la fica. Io veramente vivevo un incubo, poiché in tutto questo fare sesso, non avevo percezione né sensibilità, come se il cazzo enorme fosse un’appendice esterna del mio corpo, sì una protesi insomma! Non avrei mai avuto l’orgasmo in quelle condizioni, ormai da ore si sollazzavano col mio corpo. Quando Lina evidentemente sazia si distaccò sfilandosi il pene abnorme dal corpo, un fiotto di liquido schizzò dalla fica riversandosi al suolo e lungo le cosce, il pene mi pendeva oscillandomi fra le gambe gocciolando, con la punta sformata. La sconosciuta tecnicamente non aveva goduto, perciò le due si diedero da fare: una cassapanca al centro della cantina fu coperta da una vecchia coperta, la sconosciuta si era allontanata, tornò tenendo al laccio un caprone enorme dalle corna davvero notevoli, di un bruno chiaro, lei si avvicinò a me, con l’alta mano sparse sul pene quello che poi si rivelò del sale, il caprone leccò goloso! Ero inorridito e spaventato, il pene sempre ingrossato pendeva ed oscillava ignaro di tanto obbrobrio. Le due si diressero verso la cassapanca tirandosi dietro l’animale, con una verga descrissero tutt’intorno ad un cerchio con centro una stella pentacolare, al centro della quale era la cassapanca. La sconosciuta vi si distese di schiena, allargando le cosce, il caprone la montò aiutato da Lina che gli trastullava il pene per farlo fuoriuscire, la bestia leccava il sale distribuito sul corpo della sconosciuta. Lina era riuscita a farlo eccitare. Guidò il sesso con la mano nella fica aperta della fattucchiera, il caprone si spinse più volte dentro poi si distaccò dall’amplesso infernale, nel frattempo la fattucchiera profferiva parole strane ed incomprensibili. Una cosa potei capire un tutta quella assurda vicenda, ella aveva goduto di quei pochi istanti in cui il caprone l’aveva posseduta! Certamente quello doveva essere un rito già altre volte officiato ma, quale era il destino riservatomi, cosa mi aspettava? Forse mi avrebbero ucciso e gettato in qualche pozzo nelle campagne.
Non lo fecero. Se ho potuto narrare questa vicenda, è evidente. Io non denunciai Lina per il sequestro e gli abusi sessuali subiti, lei non mi denunciò per la violenza carnale che le feci. Chi fosse la sconosciuta tutt’ora lo ignoro e non mi interessa scoprirlo, mi piace il mistero. Mi sono unito a loro, nei riti strani ed esoterici sessuali, io non sono credulone ma una cerchia così strana dove la trovo, per passare ore di curiosità e stranezze? Lady xxx così la chiamammo in seguito, si accoppiava e credo continui a farlo con gli animali ma, sempre in un contesto mistico. L’essenza che ungendo il cazzo lo fa smisurato e lo priva della sensibilità potrebbe fruttare fior di quattrini ma, la composizione è sua e la custodisce gelosamente, dice, che la formula non è di questo mondo.
ilgobbetto .

sabato 13 dicembre 2008

Due anni in Matabeleland (1)

La convocazione mi giunse quando ormai non ci speravo più. Mesi prima, avevo fatto richiesta di trasferimento all’ufficio del personale dell’azienda dove lavoravo da oltre dieci anni. L’azienda si occupava e si occupa tutt’ora, della lavorazione dell’alluminio primario, e nel Matabeleland, c’era una succursale che operava in sinergia con la sede italiana. I cinque giorni di preavviso, li trascorsi nei preparativi, negli acquisti che non avrei potuto fare in quel paese.
L’aereo si alzò in volo passando sui tetti della periferia di Roma, diretto a sud. Attraversò il tratto di mare che separa la Sicilia dall’Africa in poco tempo, poi giù, lungo il continente nero, diretto al primo scalo: Il Cairo, in Egitto, poi a Khartoum nel Sudan, quindi a Kigali, e finalmente ad Harare nello Zimbabwe meta finale del mio viaggio. Dall’aeroporto della capitale, in treno sino a Kodoma, da dove con scassatisimi mezzi di trasporto si raggiungeva Umguza, una cittadina mista di grattacieli, case coloniali e baracche, simili ai tuguri delle favelas brasiliane.
Lo stabilimento, recintato e video sorvegliato, era moderno; lungo la strada, file di autotreni, alcuni a me di marca sconosciuta, attendevano il loro turno per caricare o scaricare. Il piazzale interno era ingombrato da pile di grossi cilindri di alluminio, lunghi circa sei o sette metri. dal diametro di venti o poco più centimetri, intorno ai quali gru e carrelli elevatori erano indaffarati al carico dei mezzi, altri invece, entravano carichi di minerale terroso e ne uscivano scarichi. In quel trambusto ognuno attendeva al compito assegnatogli senza bighellonare come spesso, si può assistere nei posti di lavoro in Italia. Mi ambientai in breve tempo grazie alle persone che già operavano in azienda, di cui uno della provincia di Cosenza, affabile e socievole, tanto che cominciammo a fare coppia fissa, nel dopolavoro e che mi fece da cicerone.
Dopo qualche settimana l’argomento sesso venne alla ribalta, poiché la mancanza di rapporti esigeva il dovuto tributo. Nuccio, diminutivo di Carmine, si adoperò a mettermi sul chi vive per quanto riguarda i rapporti con i residenti. Le malattie, i contagi la prostituzione, il contrabbando di ogni cosa possa avere un benché minimo valore.
Uscivamo qualche sera per il giro dei locali sicuri, magari alla ricerca di carne “ bianca” per il letto. Risultati: zero! Unica carne bianca era vestita di abiti talari (!), e nelle associazioni di volontariato il sesso, totalmente bandito, cazzo, tutti protesi a redimersi l’anima! Ci tenemmo lontani da questi circoli vischiosi come la pece.
Una sera nel solito locale, a parte le prostitute ragazzine, una bionda matura, spiccava là in mezzo, come neve sul cocuzzolo di una montagna. Nuccio l’agganciò agevolmente, il poco inglese a nostra disposizione, ci consentì di passare una serata diversa. Maggie si rivelò aperta e priva di inutili preconcetti. Laureata alla Liverpool University, in antropologia e biologia, aveva anch’ella difficoltà nel frequentare amicizie maschili, rifuggendo per questioni di gusti gli autoctoni. Aveva respinti rapporti con uomini neri, non cercava le dimensioni nel sesso, piuttosto se ne asteneva, e nel dirlo ci teneva a sottolineare che non ne faceva una questione razziale. Si era, ci disse, accontentata di alcuni rapporti lesbo con bianche, ma niente neri.
Si fece tardi, Maggie ci diresse presso il suo domicilio che però era a qualche chilometro distante, fuori città, direzione Kwekwe, la grossa Jeep viaggiava correndo lungo le strade polverose e deserte, a forte velocità. Maggie, nel locale si era scolata diversi drink, ma va da sé che era un’abitudinaria; Nuccio, la palpava, seduto al suo fianco e mi invitava a palparle le tette ancora sode, nonostante la matura età. Maggie guidava sospirando forte sotto l’effetto delle carezze di entrambi, quelle di Nino erano di certo più audaci, tanto che ormai con una mano, le pastrugnava la fica. Giungemmo alla meta in un paio di ore circa. La casa era in stile coloniale, tinteggiata di bianco, immersa nel buio della notte africana; la periferia di Lupane non era molto diversa da tante altre periferie del mondo, ma questa aveva in più il fatto che non viveva di luce propria, bensì del cielo rischiarato in lontananza dal ricco centro cittadino, ciò staccava la casa colonica dall’oscurità circostante.
Entrammo in casa preceduti da Maggie, salendo subito al piano superiore, lasciando le luci accese lungo il tragitto, la jeep, ferma di sbilenco davanti all’ingresso, la porta chiusa senza mandate. La scalinata in legno con balaustra dello stesso materiale era non in ottime condizioni. Il piano superiore constava diversi ambienti, la camera da letto, in fondo al corridoio, affacciava sul retro, prima di questa, un salone ed una camera da pranzo, un salotto con un balcone aperto, che dava sul lato anteriore del fabbricato. Ci buttammo sul letto lasciando gli abiti sparsi per la casa, Maggie si concedeva ad entrambi, e non perché in preda ai fumi dell’alcool, ma, e soprattutto, affamata di sesso con uomini bianchi, non importa se inglesi, americani o chissà quale nazionalità purché bianchi di pelle. Certo noi italiani non potevamo dirci bianchissimi, il sole africano ci bruciò abbronzandoci, ma cribbio eravamo pur sempre bianchi!
Maggie nuda, aperta stava sopra Nuccio, il cazzo ficcato nella fica bionda, mi offriva le natiche, io infoiato dalla lunga astinenza, le insalivai il culo e cauto le infilai dentro il pene . la stantuffai mentre ella sfogava su Nuccio la libidine della doppia penetrazione. Dopo pochi minuti, non potendo più mantenere l’orgasmo, data la lunga astinanza, mi rilasciai all’onda del piacere, e le sborrai nel culo. Appena si rilassò il cazzo, defluì dal buco, mi recai nel vicino bagno per lavarmi sotto l’acqua corrente, mentre Nuccio sbatacchiava il cazzo nella fica di Maggie, li sentivo annaspare, urlare, incitarsi a vicenda.
Il rumore colpì netto le mie orecchie, nonostante il baccano che gli impetuosi amanti producevano, percorsi il corridoio nudo col pene pendulo, che sbatacchiava tra una coscia e l’altra, fino al balcone del salotto, mi affacciai guardingo col cuore in gola, davanti alla jeep, una scassatissima auto messa di traverso con le portiere spalancate, illuminata dalla luce proveniente dalla porta d’ingresso evidentemente aperta. Mi chiedevo cosa stesse succedendo, mentre riordinai le idee, con mille e mille conclusioni nella testa, un colpo di arma da fuoco echeggiò nella casa. Le urla stanzianti di Maggie mi ferivano le orecchie. Il terrore mi bloccò, persi lucidità, mi sentivo un verme, nudo come un verme, senza difesa alcuna. Pochi attimi, per ristabilire il contatto con la realtà: ragiona, ragiona, pensa, cazzo pensa. Qui ci lasci le penne!
Maggie gridava, urlava parole che sembravano sconnesse, frammiste a singhiozzi, ma non aveva fatto parole della mia presenza.
Forse pensava che io fossi morto!
Di Nuccio non sentivo nulla, né un lamento, né movimenti di passi sulle assi del pavimento. Sicuramente era morto. Il rumore di ferraglie buttate in un sacco capii che stavano rapinando la casa, ma di Nuccio nemmeno un lamento.
Il colpo d’arma da fuoco doveva averlo ucciso.
Sbirciai facendo capolino nel corridoio. Una sagoma nera con un sacco in spalla ed una pistola in pugno, inforcava le scale; in un'altra stanza Maggie ed un altro individuo discutevano in afrikaans ed urlavano in modo concitato senza che potessi capire una virgola del battibecco. Mi ritrassi, non mi aveva scorto. Passi pesanti giù per le scale, poi all’improvviso un tonfo sordo ed un altro colpo d’arma da fuoco. Grida urla e richiami in dialetto africano, in contemporanea con le urla di Maggie.
Mi riaffacciai nel corridoio; lontano le ombre di due figure proiettate dalla luce della camera nel corridoio, mi fecero capire che potevo guadagnare le scale. Giù per le scale, sul ballatoio con uno scalino rotto, un nero riverso con un sacco e l’arma ancora nella mano in una pozza di sangue. Lo scavalcai, raggiunsi il pian terreno, cercai qualcosa da mettere in dosso. Nulla, intanto erano scesi Maggie e l’altro uomo, mi nascosi dietro un pesante tendaggio, di fronte a me alla parete, un grosso scudo ed una lancia matabele appesi in bella mostra. Due metri giudicai fino alla parete, due metri e potevo impugnare un’arma, un’arma mai usata e senza nessuna esperienza di lotta o contrasto corpo a corpo. Non avevo scelta, feci un salto e allungando le mani presi l’arma tornando dietro la tenda. Il tipo con la sinistra teneva Maggie con un braccio contorto dietro la schiena, la trascinava visitando il piano terreno aveva però nella mano destra una pistola, una vecchia Mauser ingombrante ma efficace. Maggie si attardò una frazione di secondo nella camera, protetta dalla parete, il tipo aveva la pistola abbassata sul fianco. Ero sicuro, partii con la lancia in resta, scelsi di non lanciare l’arma, non avevo alcuna certezza del risultato, la lama della lancia spinta con tutta la mia forza, penetrò tra la scapola e la colonna vertebrale, scansò una costola e si ficcò nella carne per intera, il tipo si paralizzò vibrando e vomitando sangue. Cadde in ginocchio e poi giù bocconi sul pavimento.
Avevo ucciso un uomo! Ero un assassino! Maggie liberatasi dalla presa, vomitava a sua volta il whisky ed i reflui dello stomaco. Con uno straccio avvolsi un machete preso dalla parete, e con quello troncai di netto il legno della lancia che portava le mie impronte digitali. Spezzai la lama del machete in un incastro. Afferrai Maggie ed il resto delle armi con le mie impronte, il sacco sul ballatoio e la trascinai verso la jeep. Lasciai la casa con tre cadaveri, dopo aver dato fuoco ad una tenda. Il fuoco si espanse rapidamente, dalla jeep in lontananza, scorgevo la vecchia casa colonica che ormai un rogo la divorava per intero. Spinsi la jeep con Maggie di fianco nuda come nudo ero io, a tutta velocità intimandomi di riflettere in seguito; percorrevamo la savana fendendo con i fari il buio pesto, Maggie diede segni di recupero, cominciò a scambiare qualche frase, poi si mise a dormire abbassando lo schienale. La luminosità dell’aurora, in lontananza mostrava la distesa della savana e più tardi intravidi sulla sinistra una macchia netta ergersi sulla piatta distesa erbosa. Doveva essere un bosco, diressi l’auto, in quella direzione, confidando nella copertura degli alberi che mi avrebbero nascosto da probabili ricognizioni aeree. Qualche ora più tardi ci inoltravamo nel fitto della boscaglia fino quasi alle rive di un fiumiciattolo tranquillo. Fermai il motore dell’auto, chiusi bene le portiere con il blocco delle sicure, mi concessi poche ore di sonno. Il movimento di Maggie, mi svegliò. Mancava poco alle dieci, gli animali selvatici si erano abbeverati tutti: prede e predatori. Attendemmo ancora un poco di tempo prima di azzardarci ad uscire fuori dall’auto. Maggie osservava intorno dal predellino della jeep, io con una delle due taniche della macchina, (l’altra era mezza piena di benzina), scesi sulla riva del fiume. L’acqua corrente si era schiarita, ma nulla ci assicurava che fosse potabile. Ci serviva per lavarci, poi avremmo pensato per bere. Dietro, nel vano dell’auto, v’erano un paio di bottiglie di acqua minerale ed un pacco di biscotti secchi. Recuperammo un ampio straccio residuo di vecchie lenzuola, e tagliato in due ne derivammo una seppur succinta copertura intorno ai fianchi per entrambi. Ci lavammo, lavammo via il sangue schizzato addosso a me ed a Maggie, mentre colpivo il tipo nel corridoio; riempii di nuovo la tanica per circa venti litri, la fissai sul tettuccio della jeep, sopra il portabagagli in metallo. La lunga esposizione al sole africano l’avrebbe portata alla temperatura di certo superiore ai cinquanta gradi centigradi, ciò poteva potabilizzare l’acqua, ma sulle caratteristiche organolettiche non v’era garanzia alcuna. Più tardi avremmo consumato qualche galletta della scorta, poi facemmo il punto della situazione.
-Cosa faremo adesso ? -
Chiese Maggie, forbendosi la bocca come se avesse consumato chissà quale pietanza.
- Non possiamo tornare indietro, cara, questo è un paese di neri, e qua gli “extra” siamo noi bianchi. Nella tua ex dimora ci sono due cadaveri neri ed uno bianco nudo per di più, che mancherà all’appello dei miei colleghi di lavoro! Non sarà facile far ingoiare la verità alle autorità, che saranno più propensi a pensare che una nottata di sesso con i due negroni sia finita a puttane e che un colpo di improvvisa gelosia abbia spinto l’assassino ad agire, e questo aimè potrei essere io stesso ad essere incolpato!
- Ma tu hai dato fuoco alla casa, non credo sia rimasto nulla in quell’inferno che hai generato, neanche le ossa saranno visibili domattina.
Annuii e aggiunsi che forse ci avrebbero considerati morti tutti in quel terribile rogo, restava però il mistero della jeep, ma di quelle se ne rubano a bizzeffe in Africa.
Il sole africano ardeva il paesaggio tutto d’intorno e, la tanica esposta sul tettuccio della jeep, sobbolliva quasi al tatto con la mano, avevo voluto sincerarmi. Nascosti all’ombra dei mopani, sonnecchiavamo a turno, mezzi nudi, nell’auto per non farci sorprendere dalle fiere.
Avremmo viaggiato di notte, al fresco, costeggiando il fiume per non restare senza acqua.
Quella sera sfilando dei ferretti dall’ombrello trovato nel cofano della jeep, misi insieme una specie di rudimentale arco, usando un ramo flessibile e dritto piegato ad arco usando un pezzo di filo di acceleratore chissà come finito nel baule. Lo provai ed il risultato non fu entusiasmante, ci dovevo lavorare sopra e trovare un ramo più elastico. Era però un’ancora psicologica di salvezza: possedevamo un’arma! Il sonno ristoratore e la stanchezza ebbero il sopravvento. CONTINUA

venerdì 12 dicembre 2008

Deux annè au Matabeleland 1

La convocation me joignit quand je ne nous espérais pas maintenant plus. Mois j'avais fait avant demandé, de déplacement au bureau du personnel de l'usine où je travaillais d'au-delà dix ans. L'usine s'occupait et maintenant il s'occupe tout, du travail de l'aluminium primaire, et dans le Matabeleland, il y avait une succursale qu'il opérait en synergie avec le siège italien. Les cinq jours de préavis, les passés dans les préparatifs, dans les acquisitions qui n'aurais pas pu faire dans ce pays.
L'avion se leva en vol en passant sur les toits de la banlieue de Rome, direct au sud. Il traversa le trait de mer qu'il sépare la Sicile de l'Afrique en peu de temps, puis en bas, le long du noir continent, direct à l'escale premier: Le Caire, en Egypte, puis à Khartoum dans le Soudan, donc au Kigali, et enfin à Harare dans le Zimbabwé destination finale de mon voyage. De l'aéroport de la capitale, en train même au Kodoma, d'où avec des vieux demi de transport on atteignait Umguza, une petite ville mixte de gratte-ciel, maisons coloniales et baraques, semblables aux taudis des favelas brésiliens.
L'usine entourée et écran surveillé était moderne; le long de la rue, file de poids lourds, quelques-uns à moi de marque inconnue attendait leur tour pour charger ou décharger. L'esplanade intérieure était encombrée de piles de gros hauts-de-forme d'aluminium, longs tu es environ ou sept mètres. du diamètre de vingt ou peu plus centimètres, autour à qui grue et chariots élévateurs étaient occupés à la charge des demi, autres par contre, charges de minéral terreux entraient et ils sortaient déchargements en. Dans cette confusion chacun l'attendait au devoir assigné sans flâner comme on peut souvent, assister dans les postes de travail en Italie. J'ambientai en bref temps grâce à les gens qui opéraient déjà en usine dont une de la province de Cosenza, aimable et sociable, beaucoup qui commençâmes à faire couple fixe, en l'après travail et qu'il me fit à cicérone.
Après quelque semaine le sujet sexe vint à la rampe, car le manque de rapports exigeait la contribution dûe. Nuccio, diminutif de Carmine, il se prodigua à me mettre sur le qui vives en ce qui concerne les rapports avec les résidents. Les maladies, les contagions la prostitution, la contrebande de tout puisse avoir un bien que moindre valeur.
Nous sortions quelque soir pour le tour des pièces sûres, peut-être à la recherche de viande blanche" pour le lit. Résulté: zéro! Viande blanche unique était habillée d'habits talari (!), et dans les associations de volontariat le sexe, totalement bandit, mon Dieu, tous tendus à se racheter l'âme! nous nous tînmes lointains de ces cercles visqueux comme la poix.
Un soir dans la pièce habituelle, à la partie les prostituées baby, une blonde mûre détachait là en demi comme neige sur le sommet d'une montagne. Nuccio l'accrocha facilement, le peu d'Anglais à notre disposition permit y de passer une soirée différente. Maggie se révéla ouvert et dépourvue de préjugés inutiles. Attribuée un titre universitaire au Liverpool University, en anthropologie et biologie, il l'avait aussi difficulté en le fréquenter amitiés masculines en ayant horreur pour problèmes de goûts les autochtones. Il avait repoussé rapports avec des hommes noirs, il ne cherchait pas les dimensions dans le sexe, plutôt il s'abstenait son, et en le lui dire il nous tenait à souligner qu'il en ne faisait pas un problème racial. Vous était, il nous dit, contentée de quelques rapports lesbo avec blanches, mais rien noir.
Tard il se fit, Maggie nous dirigea près de son domicile que cependant il était à quelque kilomètre éloigné, hors ville, direction Kwekwe, la grosse Jeep voyageait en courant le long des rues poussiéreuses et désertes à la vitesse forte. Maggie, dans la pièce on était égoutté différents drink, mais il va de soi qui était une routinière; Nuccio la palpait, assis à sa hanche et il m'invitait à leur palper encore les tétons durs, malgré l'âge mûr. Maggie guidait en soupirant dessous fort l'effet des caresses des deux, celles de Nino ils étaient de certain plus audacieux, beaucoup qui maintenant avec une main, sur la chatte. Nous joignîmes à la destination environ dans une paire d'heures. La maison était en style colonial, peinte de blanc, immergée dans l'obscurité de la nuit africaine; la banlieue de Lupane n'était pas très différente de nombreuses autres banlieues du monde, mais celle-ci avait en plus le fait qui ne vivait pas de propre lumière, mais du ciel éclairé en éloignement du riche centre citadin, ceci détachait la maison de paysans de l'obscurité environnante.
Nous entrâmes en maison précédée par Maggie, tout de suite en montant à l'étage supérieur, en laissant les lumières alluma le long du trajet, la jeep, arrêté de bancal devant l'entrée, la porte fermé sans vous envoyez. Le perron en bois avec balustrade du même matériel était pas en conditions excellentes. L'étage supérieur se composait différents milieux, la chambre à coucher, le couloir montrait sur le derrière au bout de, premier de celle-ci, un salon et une salle à manger, un salon avec un balcon ouvert, qu'il donnait sur le côté antérieur du bâtiment. Nous nous jetâmes sur le lit en laissant les habits éparpillés pour la maison, Maggie il se donnait aux deux, et pas parce qu'en proie aux fumées de l'alcool, mais, et affamée de sexe avec des hommes blancs n'importe pas surtout, si Anglais, Américains ou peut-être quel nationalité pourvu que blancs de peau. Certainement nous italiens nous ne pouvions pas nous dire blancs, le soleil africain il nous brûla en nous bronzant, mais parbleau, nous étions toujours aussi blancs!
Maggie nu, ouverte il restait sur Nuccio, la bite fourré dans la chatte blond m'offrait les fesses, j'infoiato de la longue abstinence, je léchai le cul et prudent je leur enfilai dans le pénis. le baiseè pendant qu'elle passait sur Nuccio la luxure de la pénétration double. Après peu minutes, en ne pouvant plus maintenir l'orgasme, donne la longue abstinence, je me relaxai au flot du plaisir et les je versai le sperme dans le cul. Il se détendit à peine la bite, il s'écoula du trou, je me rendis dans le bain voisin pour me laver dessous l'eau courante, pendant que Nuccio claquait la bite dans la chatte de Maggie, je les entendais dévider, hurler, les inciter à l'événement.
Le bruit frappa net mes oreilles, malgré le vacarme qui produisaient, parcouru le couloir nu avec le pénis ,penché qu'il claquait entre une cuisse et l'autre, jusqu'à le le balcon du salon, je me montrai circonspect avec le coeur en gorge, devant la jeep, une auto détraquée mise de travers avec les portières grand ouvertes évidemment éclairée par la lumière provenante de la porte d'entrée ouverte. Je me demandais chose il fût en train de succéder, pendant que je rangeai les idées, avec mille et mille conclusions dans la tête, un coup d'arme de feu retentit dans la maison. Les cris horribles de Maggie me blessaient les oreilles. La terreur me bloqua, polis perdus se sentaient un ver, nu comme un ver, sans défense quelque. Peu instants, pour rétablir le contact avec la réalité: il raisonne, il raisonne, il pense, mon Dieu, pense. Je laisse ici y les stylos!
Maggie criait, il hurlait mots qu'elles semblaient disjointes, entremêlées aux hoquets, mais il n'avait pas fait mots de ma présence.
Il pensait peut-être que je fusse mort!
De Nuccio je n'entendais rien, ni une plainte, ni mouvements de pas sur les planches du plancher. Il était sûrement mort. Le bruit de ferrailles jeté dans un sac je compris qu'ils étaient en train de voler la maison, mais de Nuccio non plus une plainte.
Le coup d'arme de feu devait l'avoir tué.
Je lorgnai en faisant montrai dans le couloir. Une silhouette noire avec un sac en épaule et un pistolet en main enfourchait les escaliers; dans une autre pièce Maggie et un autre individu discutaient en afrikaans et ils hurlaient de manière très excité sans que je pusse comprendre une virgule de la prise de bec. Je reculai, il ne m'avait pas aperçu. Pas lourds en bas pour les escaliers, puis au soudain un bruit sourd sourd et un autre coup d'arme de feu. Il crie cris et rappels en dialecte africain, en contemporaine avec les cris de Maggie.
Je montrai dans le couloir; loin les ombres de deux illustrations projetées par la lumière de la chambre dans le couloir me firent comprendre que je pouvais gagner les escaliers. En bas pour les escaliers, sur la galerie avec une marche cassée, un noir je reverse encore avec un sac et l'arme dans la main dans une mare de sang. Je le sautai, j'atteignis le pian terrestre, je cherchai quelque chose à mettre en dos. Rien, entre temps Maggie et l'autre homme étaient descendus, je me cachai derrière une tenture lourde, devant moi au mur, un gros bouclier et une lance matabele suspendus en belle exposition. Deux mètres je jugeai jusqu'à le le mur, deux mètres et je pouvais saisir une arme, une arme jamais utilisée et sans aucune expérience de lutte ou je contrarie corps au corps. Je n'avais pas de choix, je fis un saut et en allongeant les mains prises l'arme en revenant derrière la tente. Le type avec la gauche Maggie tenait avec un bras derrière tordu le dos, il la traînait en visitant le rez-de-chaussée il avait dans la main droite cependant un pistolet, un vieux Mauser encombrant mais efficace. Maggie s'attarda une fraction de seconde dans la chambre, protégée par le mur, le type avait le pistolet baissé sur la hanche. J'étais sûr, je partis avec la lance en il reste, je choisis de ne pas lancer l'arme, je n'avais pas quelque certitude du résultat, la lame de la lance excessive avec toute ma force pénétra entre l'omoplate et la colonne vertébrale, il écarta une côte et il se fourra dans la viande pour entière, le type on paralysa en vibrant et en vomissant sang. Il tomba en genou et puis en bas bouchées sur le plancher.
J'avais tué un homme! J'étais un assassin! Maggie libéré le de la prise, il vomissait le whisky et les contenu de l'estomac à son tour. Avec un chiffon j'enveloppai une machette prise par le mur, et avec celui-là je tronquai le bois de la lance qui portait mes empreintes digitales net. Je rompis la lame de la machette dans un encastrement. Je saisis Maggie et le reste des armes avec mes empreintes, le sac sur la galerie et je la traînai vers la jeep. Je laissai la maison avec trois cadavres, après avoir donné feu à une tente. Le feu se répandit rapidement, de la jeep en éloignement, j'apercevais la vieille maison de paysans qui la dévorait maintenant entièrement. Je poussai la jeep avec du Maggie de hanche nue comme nu j'étais je, à toute vitesse en m'intimant de par la suite réfléchir; nous parcourions la savane en fendant avec les phares l'obscurité je pile, Maggie donna signes de recouvrement, il commença à échanger quelque phrase, puis il se mit à dormir en baissant le dossier. La luminosité de l'aurore, en éloignement il montrait l'étendue de la savane et plus tard j'aperçus sur la gauche une tache nette se dresser sur l'étendue herbeuse plate. Il devait être un bois, je dirigeai l'auto, dans cette direction, en confiant dans la couverture des arbres qui m'auraient caché d'examens aériens probables. Plus tard quelque heure nous nous enfoncions dans le coeur du maquis au point de presque aux bords d'un petit fleuve tranquille. J'arrêtai le moteur de l'auto, bien fermé les portières avec le bloc des sûres m'accordées peu heures de sommeil. Le mouvement de Maggie me réveilla. Il manquait à dix heures peu, les animaux sauvages s'étaient abreuvés tous: proies et prédateurs. Nous attendîmes encore un peu de temps avant de nous hasarder à sortir de l'auto dehors. Maggie observait du marchepied de la jeep autour, j'avec un des deux bidons de la voiture, (l'autre était demi crue d'essence, descendu sur le bord du fleuve. L'eau courante s'était éclaircie, mais rien nous assurait qu'il fût potable. Il servait y pour nous laver, puis nous aurions pensé pour boire. Derrière, en le vain de l'auto, il y avait une paire de bouteilles d'eau minérale et un paquet de biscuits secs. Nous récupérâmes un reste usé ample de vieux draps, et coupé en deux nous en dérivâmes autour d'une couverture courte le les hanches pour les deux. Nous nous lavâmes, nous lavâmes le sang éclaboussé ailleurs j'adosse à moi et au Maggie, pendant que je frappais le type dans le couloir; je remplis le bidon de nouveau pour environ vingt litres, je la fixai sur le petit toit de la jeep, sur le porte-bagages en métal. La longue exposition au soleil africain l'aurait portée à la température de certain supérieur aux cinquante degrés centigrades, ceci il pouvait rendre potablel'eau, mais sur les organolettiche caractéristiques il y n'avait pas garantie quelque. Plus tard nous aurions usé quelques bisciut de l'escorte, puis nous fîmes le point de la situation.
- Chose maintenant nous ferons? -
Maggie demanda, en les essuyant la bouche comme s'il eût peut-être usé quel plat.
- Nous ne pouvons pas revenir en arrière, chérie, ceci est un pays de noirs, et ici "les extra nous sommes nous blancs. Dans ton domicile ancien il y a en outre deux cadavres noirs et un nu blanc, qu'il manquera à l'appel de mes collègues de travail! Il ne sera pas facile de faire avaler la vérité aux autorités qui seront plus enclins à penser qu'une nuit de sexe avec les deux gros negre soit finie au putain et qu'un coup de jalousie soudaine ait poussé l'assassin à agir, et cet je pourrais être je même à être inculpé!
- Mais tu as mis le feu à la maison, je ne crois rien je sois resté dans cet enfer que tu as engendré, les os seront demain matin visibles non plus.
J'acquiesçai d'un signe de la tête et j'ajoutai qu'ils auraient peut-être considéré morts nous tous dans ce bûcher terrible restaient le mystère de la jeep cependant, mais de celles-là en volent à foison en Afrique.
Le soleil africain brûlait le paysage tout d'autour et, le bidon exposé sur le petit toit de la jeep bouillonnait presque au toucher avec la main, j'avais voulu m'assurer. Caché à l'ombre des mopani, nous sommeillions au tour, demi nus, dans l'auto pour ne pas faire nous surprendre des foires.
Nous aurions la nuit voyagé, au frais, en côtoyant le fleuve pour ne pas rester sans eau.
Ce soir qui en défile des bouts de fer trouvé par le parapluie dans le coffre de la jeep, je mis une espèce d'arc rudimentaire ensemble, en utilisant une branche flexible et droit plié à l'arc en utilisant peut-être un bout de fil d'accélérateur comme fini dans la malle. Je l'essayai et le résultat ne fut pas enthousiasmant, je devais nous travailler sur et trouver une branche plus élastique. C'était une ancre cependant psychologique de salut: nous possédions une arme! Le sommeil réparateur et la fatigue eurent l'avantage. CONTINUA

Una zia molto, molto particolare. 1

Conobbi la mia ex moglie che avevo venti anni appena e lei ventinove; là, in quel paesino del meridione, che a malapena conoscevo, dopo qualche mese lei , Agnes ( nome convenzionale) cominciò a portarmi in giro a conoscere le sue zie e zii, circa sette in tutto! Quella che però colpì la mia curiosità fu zì Erminia, la più giovane sorella della mia suocera. Subito risultò simpatica, aperta ed accomodante. Dai modi spicci e dalla parlata a dir poco colorita, inframmezzava le frasi con epiteti tipo “ quella zoccola” oppure “rotta in culo, ed ancora bocchinaria, si, non è un errore, proprio bocchinaria. Certo non dai primi momenti, ma man mano che la conoscenza si approfondiva, e le frequentazioni si susseguivano, ella si lanciava a ruota libera giù per turpiloqui che avrebbero fatto impallidire uno scaricatore di porto ( senza offese per la categoria, ma è solo un modo di dire colorito); per parte mia, abituato ai rigori dell’istituto religioso che da piccolo mi aveva accolto e formato, quel parlare mi seduceva introducendomi in aree della perversione del tutto sconosciute. A ciò si aggiunga che spesso le posture della cara zì Erminia, erano tali da lasciare intravedere ampie parti delle cosce bianchissime e senza alcun difetto, quando per esempio si sedeva sul basso scannellino in giardino, oppure se stava china, da dietro si vedevano le gambe fino alle mutandone candide e pulite, nonostante i suoi cinquantasette anni suonati, e la gamba sinistra che la costringeva a claudicare, in modo leggero, ma caratteristico; badava alla casa ed accudiva ad un orto di tutto rispetto. Disgraziatamente per lei, dopo qualche anno che ci conoscevamo, le morì zì Pietro, uomo mite e padre di famiglia irreprensibile, lavoratore e accorto. Il terremoto e le lungaggini burocratiche, non le avevano consentito di riparare la casa, che aveva subito qualche danno, ma non strutturale, per cui si decise a parlarne con me, che lavoravo da anni nell’edilizia. Ci accordammo affinché per economizzare il tutto avrei eseguito i lavori di sabato ( giorno che non lavoravo in cantiere) così la frequentazione divenne assidua e le confidenze più strette e senza tabù ( termine di cui zì Erminia ha sempre ignorata l’esistenza) . Un sabato di fine giugno, verso sera, terminato il lavoro di quel giorno mi invitò a farmi la doccia, là, nel giardino, in un angolo riparato, appositamente attrezzato. Ebbi la sensazione ( o la speranza ) di essere osservato, il solo pensiero mi pervase di eccitazione. E, nudo sotto il getto d’acqua mi agitavo, con il pene ritto e scappellato che batteva a destra ed a sinistra sui fianchi in quella danza dimostrativa. Non sapevo se avevo avuto spettatori o era stata solo una mia fantasia, mi asciugai, e rivestito, incontrai zì Erminia per salutarla, ella stava seduta sulla panca davanti alla cucina con la gamba sinistra distesa e le mani che la massaggiavano scorrendo su e giù per la coscia, con la gonna tirata meravigliosamente su, contemporaneamente turpiloquiava a distesa e senza freni. N’ebbi sincera compassione e mi offrii di aiutarla, le chiesi se avesse una crema antinfiammatoria, e avutane conferma positiva la costrinsi ad alzarsi e l’accompagnai nella attigua camera a pianterreno, dove c’era un divano letto. Ella si distese carponi sul divano e sollevata la gonna cominciai a massaggiare la gamba florida e dalla pelle splendidamente liscia, la mie mani si muovevano in sincronia su e giù per la coscia di zì Erminia. Cominciai ad eccitarmi , e ciò mi induceva a salire sempre più in alto, fino a toccare ed urtare le chiappe e la figa della vecchia zia; stavo già allupato da paura con il cazzo duro che pulsava di vita propria, nel movimento, inavvertitamente, il mio cazzo duro venne in contatto con la sua gamba, poco sotto la curva del ginocchio mi discostai d’istinto, ma alla corsa successiva della mano destra quando questa urtò la fica , il suo bacino si inarcò all’indietro in un gesto di aperto invito; la vista mi si offuscò, il fuoco che partiva dai coglioni e saliva via via su per la schiena mi avvampò la testa, mi strofinai con vigore poggiato sulla coscia sotto di me, e la mia mano ispezionava la sua fica dopo aver discosto le mutande, ella ansimava e si offriva oscenamente, la mia mano che sgrillettava la sua fessura era impiastricciata insieme ai suoi peli di colore misto nero tendente al grigio e bianchi, intriso di umore appiccicoso e semitrasparente, dal sentore deciso, tipico del sesso delle femmine allupate. La tirai giù dal divano ponendola ginocchioni per terra, le aprii la fica ed introdussi il cazzo tosto e scappellato, dalla cui sommità gocciolava alcune lacrime lubrificanti. Il glande trasbordava dall’asta con uno spessore notevole, quasi una cappella di fungo, la penetrai con lentezza incontrando una resistenza inaspettata, ma graditissima, lei sbuffava ,soffiava e mi apostrofava con “ porco figlio di zoccola, fai piano, rotto in culo ecc...” ma alla fine glielo ficcai per bene tutto dentro, tenendola ferma per i fianchi la bloccai fermo per lunghi minuto, ella contorceva il culone grosso e spropositato che la natura le aveva dato in dono, avvertii le contrazioni ritmiche della vulva, poi interruppi il gioco e senza preavviso e di scatto lo tirai fuori, la fica gorgogliò e da lì scolava liquame, lo stesso di cui era intriso il mio cazzo, la zia urlo ed imprecò , le poggiai la cappella unta di sborra femminile davanti al buco del culo, esercitando solo una leggera pressione, lei sobbalzo e mi minacciò, sfidandomi a non farlo, riempiendomi di “ stronzo figlio di una cooperativa di froci” io le manganellavo il sedere e le chiappone enormi col cazzo a mò di clava, e quando decisi che si era asciugato per bene, puntai deciso alla fica e brutalmente la fiondai di botto, allo stesso tempo la figa schizzo sulle mie palle e fece anche un suono simile alle scorregge! La zia urlò e mugolò come una bestia battendo la testa di qua e di là e diceva “ stronzo ricchione sei un animale, porco schifoso!” adesso la chiavavo con ritmo regolare cercando il momento culminante, per ciò aveva sollevato una gamba puntellando sul bordo del divano, così riuscivo a spingere più a fondo dentro di lei, il glande era infiammato ed in preda all’orgasmo imminente, mi spinsi forte dentro afferrandola forte per i suoi fianchi, mentre la sborra correva veloce nel canale adducente non udii ciò che diceva la vecchia, ero perso, e sicuramente urlavo pure io ,come di solito faccio mentre fotto e sborro dentro una fessa. Restammo ancora così per diverso tempo, prima di estrarre dal suo corpo la verga semimoscia, il fiotto si sborra defluì dalla fica, sporcando il pavimento e l’interno delle sue cosce, si alzò e preso che ebbe uno straccio pulito, mi pulì il cazzo, ma continuava a palparlo e stringerlo, dopo si pulì la fica imprecando. Avevo avuto un rapporto da lungo tempo fantasticato e desiderato, adesso ero lì che mi vestivo, dopo aver appeso al carniere personale anche quella femmina, ma non avevo finito con lei . Tornando a casa in macchina, mi passavano per la mente le fasi che erano culminate con la chiavata di zì Erminia, chi l’avrebbe mai detto? Lo ammetto era stata una valanga di perversione pura , poterle sborrare tutto nella fica.

Une tante très, beaucoup de particulier. 1

Je connus ma femme ancienne que j'avais vingt ans dès qu'et elle vingt-neuf; là, en ce patelin du midi qui à peine connaissais, après quelque mois elle, Agnès, (nom conventionnel) commença à m'apporter en tour à connaître ses tantes et oncles, environ sept en tout! Celle-là qui cependant il frappa ma curiosité il fut zì Erminia, soeur la plus jeune de ma belle-mère. Tout de suite elle résulta sympathique, ouverte et accommodante. Tu donnes manières tu expédies et du parler au dir peu coloré, il entrecoupait les phrases avec des épithètes type "ce zoccola" ou "route en cul, et il ancre bocchinaria, ce n'est pas une faute propre bocchinaria. Certainement pas depuis les premiers moments, mais au fur et à mesure que la connaissance s'approfondissait, et les frequentazioni se succédaient, elle se lançait à la roue libre en bas pour langages obscènes qu'ils feraient pâlir un débardeur de je porte, sans offenses pour la catégorie, mais c'est seulement une manière de dire colorée,; pour mon partie, habitué aux rigueurs de l'institut religieux qui m'avait accueilli de petit et formé, ce parler me séduisait en m'introduisant en zones de la perversion des inconnues tout. À ceci j'ajoute qui souvent les postures du cher zì Erminia étaient tels à laisser apercevoir parties amples des cuisses blanches et sans quelques-uns défaut, quand il s'asseyait sur le bas banc par exemple en jardin, ou si pente restait, de derrière ils se voyaient les jambes jusqu'à en lui changeant en blanc et coups de torchon, malgré les siens cinquante-sept ans sonnés et la jambe gauche qui la contraignait à claudiquer, de manière légère, mais caractéristique; il faisait attention à la maison et il assistait à un potager de respect tout. Malheureusement pour elle, après quelque an que nous nous connaissions, zì lui mourut Pietro, homme doux et père de famille irrépréhensible, travailleur et avisé. Le tremblement de terre et les lenteurs bureaucratiques ne lui avaient pas permis de réparer la maison qui avait subi quelques je donne, mais pas structural pour lequel se décidée à en parler avec moi, que je travaillais dans le bâtiment depuis des années. Nous nous accordâmes pour que pour économiser le tout j'aurais exécuté les travaux le samedi, jour que je ne travaillais pas en chantier, le frequentazione devint ainsi assidu et les confidences les plus étroites et sans tabou, terme dont zì Erminia a toujours ignoré l'existence. Un samedi de juin fin, vers le soir, terminé le travail de ce jour il m'invita à me prendre une douche, là, dans le jardin, dans un angle abrité, exprès équipé. J'eus la sensation ou l'espoir, d'être observé, la pensée seule me pénétra d'excitation. Et, dessous nu le jet d'eau je m'agitais, avec le pénis droit et scappellato qu'il battait à droite et à gauche sur les hanches dans cette danse démonstrative. Je ne savais pas si j'avais eu spectateurs ou mon imagination avait été seule, je m'essuyai, et rhabillé, je rencontrai zì Erminia pour la saluer, elle restait séance sur le banc devant la cuisine avec la jambe étendue gauche et les mains qui la massaient en coulant sur et en bas pour la cuisse, avec la jupe tirée merveilleusement là-haut, en même temps turpiloquiava à toute volée et sans freins. J’ai assure compassion et je m'offris de l'aider, je lui demandai s'il avait une crème anti-inflammatoire, et eue il en positif confirme je la contraignis à se lever et je l'accompagnai dans la chambre contiguë au rez-de-chaussée, où il y avait un divan lu. Elle à quatre pattes s'étendue sur le divan et soulevée la jupe je commençai à masser la jambe florissante et de la splendidement peau lisse, mes mains ils se remuaient en synchronie sur et en bas pour la cuisse de zì Erminia. Je commençai à m'exciter, et ceci m'induisait à monter de plus en plus en haut, jusqu'à toucher et heurter le cul et la chatte de la vieille tante; je restais déjà exité de peur avec la bite dur qui battait de propre vie, dans le mouvement, mon bite dur vint en contact par mégarde, avec sa jambe, peu de dessous la courbe du genou je discostai par instinct, mais à la course suivante de la main droite quand celle-ci heurta la chatte, son bassin s'arc-bouta dans un geste d'invitation ouverte à reculons; la vue se brouilla, le feu qui partait des balles et il montait dans le dos tour à tour me flamba la tête, je me frottai avec vigueur appuyée sur la cuisse sous de moi, et ma main inspectait son chatte après avoir écarté les slip, elle haletait et il s'offrait d'une façon obscène, ma main que il gratait sa fente était poissée ses poils de couleur avec tendente noir mixte au gris et blancs, imprégné d'humeur colant et demi-transparent, du vent décidé, typique du sexe des filles exitè. Je la baissai du divan en la mettant par terre , je lui ouvris la chatte et j'introduisis la bite je grille et ouvert de la lequel sommité dégouttait quelques larmes lubrifiantes. Le gland transbordait de la hampe avec une épaisseur considérable, presque une chapelle de champignon la pénétra avec lenteur en rencontrant une résistance inattendue, mais agréable, elle soupirait, il soufflait et il m'apostrophait avec "cochon je génère de zoccola, tu fais plat, cassé en cul etc..." mais à la fin je le lui fourrai dedans pour bien tout, en la tenant arrêté pour les hanches je la bloquai j'arrête pour longue minute, elle tordait le cul gros et énorme que la nature lui avait donné en cadeau, j'avertis les contractions rythmiques de la vulve, puis j'interrompis le jeu et sans préavis et de déclenchement je le sortis, le fica gargouilla et d'il égouttait là purin, le même dont mon cazzo était imprégné, la tante je hurle et il souhaita, je lui appuyai la chapelle grasse de liquide féminin devant le trou du cul, en exerçant seul une pression légère, elle je tressaute et il me menaça, en me défiant à ne le pas faire, il m'appelait "stronzo je génère d'une coopérative de gay" je la matraquais le derrière et le cul énormes avec la bite au mò de massue, et quand décidés qu'il s'était essuyé pour je visai bien décidé, au chatte et brutalement je le coulai de coup, au même temps la chatte j'éclabousse sur mes balles et il fit un son semblable aux scorregge aussi! La tante hurla et il marmonna comme une bête en battant de-ci de-là la tête et il disait "stronzo gay, tu es un animal, cochon dégoûtant!" maintenant le baise avec rythme régulier qui en cherche le moment culminant, par conséquent il avait soulevé une jambe en étayant sur le bord du divan, je réussissais ainsi à pousser plus au fond dans elle, le gland il était enflammé et en proie à l'orgasme imminent, je me poussai fort dans en la saisissant fort pour ses hanches, pendant que le sborra courait rapide dans le canal adducente je n'entendis pas ce qu'il disait la vieille, j'étais perdu, et sûrement je hurlais aussi, comme je fais d'habitude pendant que baise et sperm dans une fendue. Nous restâmes ainsi encore pour différent temps, avant d'extraire de son corps la verge en retraite, le flot il sperm s'écoula du chatte, en salissant le plancher et l'intérieur de ses cuisses, il se leva et pris qu'il eut un chiffon propre, il me nettoya la bite, mais il continuait à le palper et le serrer, il se nettoya le fica après en souhaitant. J'avais eu un rapport de longueur temps rêvé et désiré, maintenant j'étais là que je m'habillais, après avoir aussi accroché au carniere personnel cette fille, mais je n'avais pas fini avec elle. En revenant à la maison en voiture, est-ce qu'ils me passaient pour l'esprit les phases qui avaient culminé avec le baisement de zì Erminia, qui lui aurait jamais dit? Je l'admets elle avait été une avalanche de perversion pure pouvoir elle de remplir la chatte de sperme tout dans elle.
CONTINUA

Gli occhi dolci di Adele, maestrina pensionata.

Era di luglio, in quella cittadina ridente che affaccia sul tirreno del sud. Io e due miei aiutanti, spostati dal cantiere di lavoro, in quell’intervento a casa della zia di un capo della ditta, per impiantare la caldaia a gas e relative tubature per il riscaldamento. Giunti al penultimo piano, ci accolse una signora anziana, di aspetto gradevole: la padrona di casa gentile e luminosa, in quel caldo mattino di luglio. Indossava una vestaglia lunga fino alla caviglie, perché alle ore sette del mattino, nessuna riceve abbigliata diversamente. Aveva i capelli a mezza spalla, quasi canuti con quelle striature argento brillante, raccolti in una crocchia, mezza sciancata dietro la nuca, che le conferiva un aria dimessa e di calore familiare. Invademmo l’ampio appartamento con le più varie attrezzature da lavoro. Un addetto trasportava col furgoncino scoperto le materie prime utili per eseguire le opere necessarie; mentre l’altro, un giovanotto poco più che sedicenne, le portava al piano, fin dentro l’appartamento. Il lavoro procedeva spedito, e con la sicurezza che dà l’esperienza maturata nel settore. I giorni si susseguirono e le attenzioni che l’anziana donna aveva per noi, per me non erano passate inosservate. Le frequenti interruzioni per il caffè preso magari da soli, sul divano, e le costanti cambiate di abito che ella operava, durante la giornata, previo passaggio sotto la doccia. Era quasi ossessionata per l’igiene e la pulizia. Era stata una maestra di scuola elementare sino alla raggiunta età pensionistica; il consorte l’aveva lasciata prematuramente anni addietro, e l’appartamento era un continuo inno alla celebrazione del ricordo dei bei tempi felici., trascorsi insieme. Nel salone, tra i vari dipinti ad olio di pregevole fattura, ma di sconosciuti autori, troneggiava un grande disegno a matita , di fattura eccelsa, un nudo che ritraeva una donna dell’età di non più di quaranta anni, sensualissimo, in posa non ginecologica, ma davvero attraente agli occhi di un uomo. Mi pescò che lo ammiravo fisso, in estasi adorativa; il suo tocco leggero, sopra la mia spalla mi distrasse e probabilmente mi salvò dall’essere colpito dalla sindrome di Stendhall. Ero giovane allora, continuò con una vena di malinconia nella voce tenera, ma ferma, la stessa di chi per anni ha formato giovani alla vita. Si, ero giovane allora e questo è l’omaggio di un artista a conclusione di un rapporto intensissimo e bruciante di passione, disse stringendosi le braccia conserte in un abbraccio ideale con lo sconosciuto artista. Mi girai e la fissai negli occhi, di un colore indefinibile, tra il verde ametista e l’azzurro chiarissimo, con sfumature fulve. Cos’ero davanti a lei, tutto ricoperto di polvere e schizzi di calcina? Un rude; braccia buone per la fatica fisica, vuoto nella testa. Lessi nei suoi bellissimi occhi una lama di luce sottile, proveniente dai meandri più recessi dell’anima. Ad un palmo dal naso, percepivo l’odore della sua pelle, nonostante fossi coperto del sudore della fatica. Era lì, allungando le mani potevo prenderla, non avrebbe opposto resistenza. L’avrei baciata teneramente, se non fosse intervenuto il ragazzo a rassettare, che il giorno di lavoro era terminato. Un suo sospiro mesto, collimò con la mia stessa delusione per quell’istante infranto. Ci salutammo prolungando la stretta di mano in modo inverosimile . all’indomani non avevo che occhi per lei. La seguii ogni qualvolta si cambiava d’abito. Abiti leggeri, tunicati, sovente con una lunga fila di bottoni a chiusura sul davanti. Chiusura che tante volte in occasione dello sporgersi in avanti, la stoffa si apriva tra un bottone e l’altro. Io mi godevo la visione del suo corpo quando potevo. In cucina si abbassò repentinamente, nel raccogliere delle mollette per capelli: ebbi modo di guardare bene sotto la veste di lino leggero, le mutandine nere di pizzo traforato e civettuole, lo spacco del culo veniva impreziosito da quell’indumento intimo. Le cosce erano all’attaccatura del culo appena gonfie per la tensione dei muscoli. L’erezione violentissima e prepotente mi provocava un dolore lancinante lungo il pene, all’attaccatura delle palle, anch’esse irrigidite nel sacco scrotale. Persi lucidità imbufalito dalla voglia di fottere, mi misi in mostra, col paccone gonfio: aspettai che si rialzasse, e girasse su se stessa per coglierne la reazione. Impiegò qualche istante prima di focalizzare la patta deformata dei miei pantaloni, dove la cappella del cazzo premeva svettando a mò di cima di un monte. Gli occhi le si fermarono, la bocca le si dischiuse, filtrando l’aria tra i denti. Allungai le mani sulle sue tette, le accarezzai, erano due sacchetti dove in fondo riposavano due palle deformi sormontate dai capezzoli di notevole dimensione e dal turgore inaspettato. La mia mano destra mollò la presa e scivolando lungo il suo fianco sotto l’ascella, raggiunse il culo, denso e sodo, l’attirai contro il mio cazzo, che si sistemò ad hoc nel dolce vuoto del suo inguine. La mia bocca si spalancò poggiando sulla sua, rorida di umori, saettavo la lingua fino ad intrecciarsi con la sua. Temevo fin’allora di essere respinto da quella patita della pulizia, io che a metà giornata avevo addosso almeno un dito di polvere in frammista al sudore. Venne docile a soffregarsi contro il mio cazzo duro di pietra. Ero follemente infervorato ed affamato di eros perverso. Eros che mia moglie, pure brava a fare sesso, non poteva comunque darmi. Il ragazzo stava giù in portineria a bighellonare, e comunque avrebbe dovuto bussare prima di entrare. Farlo adesso era sciupare la prima volta con una nuova femmina. Ci arrancammo famelici e sussurrandoci nelle orecchie, stavamo decidendo se andare nella sua camera oppure nell’ampio salone sul tappeto, davanti al pianoforte a coda. Il trillo del campanello all’ingresso risolse per noi, e ci impose di ricomporci in modo veloce. Una delle attenzioni che posi nel farlo fu quella di spolverare l’abito di Adele, che recava seco vistose tracce di chiara polvere. La porta si aprì lasciando entrare una giovane donna, di statura poco più bassa di Adele, ma che le somigliava tantissimo. Era la figlia, alla quale Adele badava la bambina, ma avendo i lavori in casa, per questo periodo non lo poteva fare. Donna scialba, giudicai, altezzosa ed alquanto scostante. Truccatissima, pur somigliandole, non ne aveva avuto le leggerezza dei tratti somatici della madre. Si intrattenne poco più di dieci minuti, o giù di li, si avviò all’uscio senza né salutare, né rivolgendo uno straccio di parola. A mezzogiorno ci accingemmo come consuetudine, a consumare la colazione; un panino con le più svariate preparazioni di salumeria. Mi posi fuori, sul terrazzino con le spalle poggiate alla ringhiera in ferro, ed il viso rivolto all’interno della cucina , dove Adele seduta al tavolo di fronte a me, con fare sbarazzino, accavallava le gambe in modo vistoso e plateale. Il tutto a mio esclusivo uso e consumo. Il ragazzo si era accomodato intorno alla tavola, ma con la visuale coperta dalla tavola stessa. Divorai il panino e la pesca dalla pelle leggermente impeluriata , il restante tempo dell’intervallo lo trascorremmo sorseggiando caffè e chiacchierando del più e del meno. Nella mia testa mordevo il freno, non vedevo l’ora che finisse il lavoro. Alle sedici e trenta il ragazzo sistemò le attrezzature, rassettò per quanto possibile , quindi lui e l’altro si avviarono al deposito per lasciarvi il camioncino. Io mi attardai, e assicuratomi che fossero andati via, Adele mi suggerì di fare una doccia. Entrai nella cabina nudo protetto dalle ante in plexiglass semitrasparente, per accorgermi solo al momento che mancava il doccia-shampoo, glie ne chiesi un po’ e lei ne approfittò per entrare nella cabina: mi offrii a lei tutto nudo, grondante di acqua, giù per le natiche ed il pene appena ricurvo in evidente stato di pre- erezione , mi porse il flacone con un gesto palesemente goffo, tanto da farlo cadere, costringendomi a girarmi e chinarmi per raccoglierlo. Sentii le sue mani sulle chiappe , anche più sotto, fino ai coglioni, un dito esplorò con delicatezza il buco del culo, solo un passaggio. Il mio cazzo ormai svettava tronfio e appena ricurvo all’insù col frenulo che tendeva in modo spasmodico l’astuccio che riveste il cazzo a riposo. Mi girai mostrandole il cazzo duro e teso. Adele con un sol gesto sciolse le bretelline e l’abito di cotone rotolò su se stesso ai suoi piedi, lasciandola nuda. La tirai dentro e la spinsi faccia a muro, col doccino al minimo: puntai deciso al buco del suo culo. Il cazzo bagnato premeva aprendosi un varco nel muscolo anale. Adele grugniva ed era percorsa tutta da fremiti e sospirava assorbendo i colpi di ariete che le infliggevo, sospinto dalla passione perversa. Entrai con notevole difficoltà , fino in fondo dentro il suo culo. Ella attraverso la pressione che esercitava con le dita della mano sul mio braccio, mi trasferì tutto il dolore e la goduria perversa che sentiva. Il mio cazzo pulsava affondato nello stretto ano, era quasi indolenzito, ebbi chiara la certezza che perdevo sensibilità già alla punta del cazzo. Poi chiaramente avvertii la pressione che l’anello dello sfintere stava esercitando alla base del cazzo, comprimendo i vasi sanguigni esterni del pene, che pompando intrappolava sangue nel corpo spugnoso, facendolo gonfiare in modo spropositato. Raggiungere l’orgasmo in modo più veloce possibile era il segreto che poteva evitare l’assurda tragedia di esporci al pubblico ludibrio. Aprii mentalmente l’enorme album fotografico stampato nella mia memoria, alla ricerca di immagini femminili che potessero favorire l’eiaculazione senza eccessivo movimento del pene che ormai non poteva muoversi più. Adele tremava scossa dai brividi di terrore, dalla paura della pubblica vergogna; scuoteva la testa di lato strusciandola lungo le piastrelle bagnate. La strinsi con dolcezza, cercando di infonderle un barlume di sicurezza. Era chiaro che piangeva. La sequenza di immagini accarezzata dalla mia psiche, diede il risultato sperato, il seme defluì a fiotti dolorosi per me, potendo cominciare la agognata fase di “refrattarietà”; cercai di abbassare il ritmo del respiro, normalizzandolo, era fondamentale non sfiorare col pensiero nessuna cosa o argomento che riguardasse il sesso. Le parlai con dolcezza calmandola, la invitai a respirare piano e rilassarsi. Restammo così legati per alcune ore .La stanchezza si faceva sentire fin quando il pene rilassato defluì da solo liberandoci dal legame costrittorio. Il cazzo floscio macchiato di rosso che divenne rosato quando fu lavata via dall’acqua corrente. Ci insaponammo e lavammo con cura; ispezionai il suo culo e con un sospiro di sollievo non rilevai nessuna lacerazione , probabilmente teneva già qualche ragade anale, che s’era messo a sanguinare. Ci adagiammo sul divano tenendoci abbracciati, ancora nudi; fuori il buio rischiarato dalle luci della città, ci disse che si era fatto molto tardi. Con suo sommo rammarico mi vestii per tornare a casa . nel salutarci mi disse che avrebbe voluto parlarmi di una cosa molto delicata e che richiedeva tempo, ma soprattutto tatto. Ci salutammo con la promessa di rivederci quanto prima, al di fuori dell’attività lavorativa.

Continua……. ilgobbetto.

Les yeux doux d'Adele, retraitée enseignant.

Il était de juillet en cette petite ville riante qui montre sur le tyrrhénien du sud. Moi et deux mes aides, déplacées par le chantier de travail, en cette intervention à la maison de la tante d'un chef de la maison, pour installer la chaudière à gaz et tuyauteries relatives pour le chauffage. Joint à l'étage avant-dernier, une dame âgée nous accueillit d'aspect agréable,: le propriétaire gentil et lumineux, dans ce matin chaud de juillet. Il mettait une robe de chambre longue jusqu'à les les chevilles, parce que par heures sept du matin, personne ne reçoit différemment habillée. Il avait les cheveux à la demi épaule, presque chenus avec ces rayures j'argente vif, recueillis dans un chignon, demi derrière éclopé la nuque qui lui conférait un air modeste et de chaleur familière. Nous envahîmes l'appartement ample avec équipements les plus différents de travail. Un employé transportait avec la fourgonnette découverte les matières premiers profits pour exécuter les oeuvres nécessaires; pendant que l'autre, un jeune homme peu plus que seize ans d'âge, il les portait à l'étage, jusque dans l'appartement. Le travail procédait rapide, et avec la sûreté qui donne l'expérience mûrie dans le secteur. Les jours se succédèrent et les attentions qui avait pour nous, pour moi elles n'étaient pas passées inaperçu. Les interruptions fréquentes pour le café tout seul pris peut-être, sur le divan et les constantes changées d'habit qu'elle opérait, pendant la journée, passage préalable sous la douche. Elle était presque obsédée pour l'hygiène et la propreté. Elle avait même été un maître d'école élémentaire à l'âge atteint de la retraite; l'époux l'avait en arrière laissée prématurément ans, et l'appartement était un hymne continu à la célébration du souvenir des beaux temps heureux., ensemble passé. Dans le salon, entre les peintures différentes à l'huile de facture estimable, mais d'auteurs inconnus, un grand dessin trônait au crayon, de facture sublime, un nu qu'il retirait une femme de l'âge de pas plus de quarante ans, sensuel, en pose pas gynécologique, mais vraiment attrayant aux yeux d'un homme. Il me pêcha que j'admirais fixe le, en extase, en adoration; sa touche légère, sur mon épaule il m'et il me sauva probablement de l'être frappé par le syndrome de Stendhall. Alors j'étais jeune, il continua avec une veine de mélancolie dans la voix tendre, mais arrêté, la même de qui pour ans il a formé jeune à la vie. Alors Vous étaient jeunes et celui-ci est l'hommage d'un artiste à la conclusion d'un rapport intense et brûlant de passion, il dit en les serrant les bras conserte dans une embrassade idéale avec l'inconnu artiste. Je me retournai et je la fixai dans les yeux, d'une couleur indéfinissable, entre le vert améthyste et le bleu clair, avec des nuances fauves. Qu'est-ce que j'étais devant elle, tout recouvert de poussière et éclaboussures d'il calcine? Un rude; bons bras pour la fatigue physique, vide dans la tête. Je lus dans ses très beaux yeux une lame de lumière mince, provenant des méandres plus de profondeurs que de l'âme. À une empan du nez, je percevais l'odeur de sa peau, malgré je fusse couvert de la sueur de la fatigue. Il était là, en allongeant les mains je pouvais la prendre, il n'aurait pas opposé de résistance. Je l'aurais tendrement embrassée, si le garçon n'était pas intervenu à ranger, que le jour de travail était terminé. Son soupir triste visa avec ma même déception pour cet instant brisé. Nous nous saluâmes en prolongeant la poignée de main de manière invraisemblable. au lendemain je n'avais pas que yeux pour elle. Je la suivis chaque il se changeait d'habit chaque fois. Habits légers, tuniqeè, souvent avec une longue file de boutons à fermeture sur le devant. Fermeture que beaucoup de fois à l'occasion du se pencher en l'étoffe s'ouvrait entre un bouton et l'autre en avant. Je me réjouissais la vision de son corps quand je pouvais. En cuisine il se baissa soudain, en le recueillir des épingles pour cheveux: j'eus bien manière de regarder sous le vêtement de lin léger, les culottes noires de dentelle ajourée et coquette, la fente du cul était enrichie par ce vêtement intime. Les cuisses étaient au point d'attache du cul dès que gonflées pour la tension des muscles. L'érection violente et tyrannique me provoquait une douleur longueur lancinante le pénis, au point d'attache des balles, aussi elles vous raidissez dans le sac du scrotum. Polis perdus imbufalito de l'envie de baiser se mit en vue, avec le pac gonflé: j'attendis qu'il se relevât, et il tournât sur si même pour en cueillir la réaction. Il employa quelque instant avant de focaliser la patte déformée de mes pantalons, où la chapelle de la pressait en écimant comme de cime d'un mont. Les yeux se les arrêtèrent, la bouche se les ouvrit en filtrant l'air entre les dents. J'allongeai les mains sur ses tétons, je leur caressai, ils étaient deux sachet où ils reposaient deux balles difformes surmontées des mamelons de dimension considérable et de la turgescence inattendue au bout. Ma main droite lâcha la prise et en glissant long sa hanche sous l'aisselle atteignit le cul, dense et dur, je l'attirai contre mon bite, qu'il s'installa à l'hoc dans le vide doux de son aine. Ma bouche s'ouvrit en appuyant sur la sienne, pleine d'humeurs, je dardais la langue au point d'à s'entrelacer avec la sienne. Je craignais au point d'alors d'être repoussé soufferte par celle-là de la propreté, je qu'à la moitié journée j'avais j'adosse au moins un doigt de poussière en entremêlée à la sueur. Il vint docile à les frotter contre mon bite dur de pierre. J'étais passionné à la folie et affamé d'eros pervers. Éros que ma femme, aussi bonne à faire sexe, il ne pouvait pas me donner de toute façon. Le garçon restait en conciergerie en bas à flâner, et il aurait de toute façon dû frapper avant d'entrer. Maintenant le faire était gaspiller la première fois avec une nouvelle fille. Nous nous agrippâmes faméliques et en nous murmurant dans les oreilles, nous étions en train de décider si aller dans sa chambre ou dans le salon ample sur le tapis, devant le piano à la queue. La trille de la sonnette à l'entrée résoulut pour nous, et il nous imposa de nous recomposer de manière rapide. Une des attentions qui posai en le le faire fut celle d'épousseter l'habit d'Adele, qu'il apportait seco traces voyantes de poussière claire. La porte s'ouvrit en laissant entrer une femme jeune, de taille peu plus basse d'Adele, mais qu'il lui ressemblait beaucoup de. C'était la fille à qui gardait la fillette, mais en ayant les travaux en maison, pour cette période il ne pouvait pas le faire. Femme insignifiante jugea, hautaine et plutôt rebutant. Truquée, aussi en ressemblant elle, il en n'avait pas eu la légèreté des traits somatiques de la mère. Il s'attarda peu plus de dix minutes, ou en bas d'eux, il démarra à la porte sans ni saluer, ni en tournant un chiffon de mot. À midi nous nous apprêtâmes comme coutume à user le petit déjeuner,; un sandwich avec préparations les plus variées de charcuterie. Je me mis dehors, sur le balcon avec les épaules appuyées à la rampe en fer, et le visage tourné à l'intérieur de la cuisine, où Adele s'assise à la table devant moi, avec faire espiègle, il croisait les jambes de manière voyante et grossière. Le tout à mien usage exclusif et consommation. Le garçon avait autour de pris place le la table, mais avec la visuelle couverte par la table même. Je dévorai le sandwich et la pêche légèrement de la peau poilue, le reste temps de l'entracte nous le passâmes en sirotant café et en bavardant plus de l'et du moins. Dans ma tête je mordais le frein, je ne voyais pas l'heure qui finît le travail. À seize heures trente le garçon rangea les équipements, il rangea bien que possible, donc lui et l'autre démarrèrent au dépôt pour vous laisser la camionnette. Je m'attardai, et m'assuré qu'ils fussent partis, Adele me suggéra de prendre une douche. J'entrai dans la cabine nu protégé par les portes en plexiglass demi-transparent, pour s'apercevoir seul au moment qui manquait le douche-shampooing, j'en demandai un po' et elle il en profita pour entrer dans la cabine: je m'offris à elle nu tout, ruisselant d'eau, en bas pour les fesses et le pénis dès que recourbé en état évident de pre - érection me donna manifestement le flacon avec un geste maladroit, beaucoup d'à faire tomber il, en me contraignant à me tourner et me baisser pour le recueillir. J'entendis ses mains sur le cul, aussi plus bas, jusqu'à les les balles, un doigt explora avec délicatesse le trou du cul, seulement un passage. Mon bite écimait hautain maintenant et dès que recourbé à l'insù avec le frenulo qui tendait de manière spasmodique l'étui qui rhabille la bite au repos. Je me retournai en leur montrant la bite dur et tendu. Adele avec un sol geste défit les bretelles et l'habit de coton il roula sur si même à ses pieds, en la laissant nue. Je la tirai dans et je poussai figure l'à le mur, avec le douches au moindre: je visai décidé au trou de son cul. La bite, trempé pressait en les ouvrant un passage dans le muscle anal. Adele grognait et toute était parcourue par frémissements et il soupirait en absorbant les coups de bélier que je leur infligeais, poussé par la passion perverse. J'entrai avec difficulté considérable, au point d'au bout dans son cul. Elle je traverse la pression qui exerçait avec les doigts de la main sur mon bras, il me transféra toute le douleur et le plasir pervers qui entendait. Mon bite battait coulé dans l'anus étroit, il était presque endolori, j'eus claire la certitude qui perdais déjà sensibilité à la pointe de la bite. Puis j'avertis la pression clairement qui était en train d'exercer à la base de la bite, en comprimant les vases extérieurs sanguins du pénis qui piégeait sang dans le corps spongieux, en lui faisant gonfler de manière enorme. Atteindre l'orgasme de manière possible plus rapide était le secret qui pouvait éviter la tragédie absurde de nous exposer au public risée. J'ouvris l'album énorme mentalement imprimé photographique dans ma mémoire, à la recherche d'images féminines qui pussent favoriser l'éjaculation sans mouvement excessif du pénis qui ne pouvait pas se remuer plus maintenant. Adele tremblait secouée par les frissons de terreur de la peur de la honte publique,; il secouait la tête de côté en la frottant longueur les carreaux trempés. Je la serrai avec douceur, en tâchant de leur donner une lueur de sûreté. Il était clair qu'il pleurait. La séquence d'images caressée par ma psyché donna le résultat espéré, la graine s'écoula aux flots douloureux pour moi, en pouvant la commencer phase convoitée de "nature réfractaire"; je tâchai de baisser le rythme du souffle, en le normalisant, il était fondamental de ne pas effleurer avec la pensée aucune chose ou j'argue qu'il concernât le sexe. Je lui parlai avec douceur en la calmant, je l'invitai à respirer plat et se détendre. Nous restâmes si lié pour quelques heures. Vous fatigue se faisait entendre jusque quand le pénis détendu s'écoula en nous libérant du lien affecté tout seul. La bite, flasque taché de rouge qu'il devint rose quand elle fut lavée par l'eau courante ailleurs. Nous nous savonnâmes et nous lavâmes avec soin; j'inspectai son cul et avec un soupir de soulagement je ne relevai aucune déchirure, il tenait probablement déjà quelques ragade anaux, qu'il s'était mis à saigner. Nous nous étendîmes sur le divan en tenant nous enlacé, encore nus; hors l'obscurité éclairée par les lumières de la ville, il nous dit que très tard il s'était fait. Avec son faîte regret je m'habillai pour revenir à la maison. en le saluer il nous me dit qu'il aurait voulu me parler d'une chose très délicate et qu'il demandait temps, mais surtout toucher. Nous nous saluâmes avec la promesse de le plus tôt possible nous revoir, sauf l'activité ouvrable. 31/12/2007 Ilgobbetto.

Continue…… signé: ilgobbetto.

giovedì 11 dicembre 2008

giovani uomini crescono 1°

Tanti e tanti anni fa, agli inizi degli anni sessanta, in un paese rurale del meridione, di quello povero, ma povero davvero. (Le persone del racconto ormai non sono più tra noi, a parte lo scrivente.) Abitavamo la mamma ed io (altri fratelli e sorelle erano in un brefotrofio) in una stanza al piano terreno di una casa colonica, la cui proprietaria lavorava la terra e prendeva in affitto pochissimo, anche se per mia madre quel pochissimo era pesante ugualmente. Nina, la padrona aveva il marito infermo e vecchio ( credo che fece un matrimonio di comodo!) e due figli uno forse già l’aveva, l’altra era piccola piccola. Il maschio Rocco era più grande di me aveva quindici anni mentre io ne avevo dodici e mezzo allora. Rocco, proprio non ci stava con la testa , era arretrato in casa ed a scuola, era abbonato, ma gentilissimo. Io dodicenne, già allora ne dimostravo qualcuno di più, fisicamente, ero portato, pur crescendo nella indigenza ero attivo e partecipavo a mille piccole incombenze che venivano premiate con generi di prima necessità. Quell’autunno si presentò piovoso ed insolitamente freddo. A novembre, si gelava addirittura. La mamma era impegnata a lavorare tutto il santo giorno e tornava a casa a sera tardi, portando quasi sempre porzioni si cibo del ristorante pizzeria, in cui lavorava e che sicuramente la proprietaria le dava con cuore caritatevole. Tornato da scuola, completavo i compiti per me facili, in modo rapido, nella stanza fredda con una coperta addosso, poi mi recavo da Nina che aveva il focolare acceso, e che quasi sempre teneva da parte un poco di minestra per me. Presi, spinta da lei, ad occuparmi di Rocco, spronandolo e facendogli ripetere le nozioni semplici della sua scuola. I risultai si notarono sensibilmente, e Nina mi incoraggiava e mi procurava pasti più sostanziosi. Divenne un’abitudine, quella frequentazione pomeridiana, tanto che studiavo insieme a Rocco al calduccio del focolare. All’inizio di dicembre, Rocco si ammalò e stette settimane intere nel letto della sua cameretta, riscaldata da un braciere. Le lezioni furono così interrotte, ma passavo i pomeriggi da Nina, accanto al focolare, spegneva le luce per risparmiare, e la cucina veniva illuminata dai bagliori del fuoco, nel camino bassissimo, che serviva anche per cucinarci i pasti. Fuori, il tempo inclemente, fustigava la natura con piogge terribili, oppure la sferzava con venti gelidi. Il buio avanzava rapido, alle quattro era già notte fatta.
Davanti al camino a luce spenta, si parlava del più e del meno. Nina era seduta su un basso ciocco di legno, io di fianco, un poco traverso, l’osservavo, e cominciavo a notare che le cosce non coperte dalla gonna venivano illuminate sotto la gonna e le riscaldavano. Non era mia madre, che vedevo spesso quando si cambiava, era un’altra donna quella! Con le cosce scoperte, a volte lo sguardo curioso si spingeva fino in fondo dove le cosce si univano, e qualcosa di scuro le divideva. Ero giovanetto e le ragazzine di allora non aveva niente di interessante da far svegliare la voglia di sesso. Avevo giocato anni prima con una tipa del vicinato sfregando il cazzetto contro la sua farfallina, ma erano solo giochi conoscitivi, quelli. Quella invece era una donna vera, e il mio sesso si inturgidiva senza che potessi controllarlo. A sera scoprivo che alla pinta dove usciva la pipì, era inzaccherato di un liquido trasparente ed appiccicoso. Strinsi il cazzo duro nella destra, e facendola scorrere su e giù, cominciai a provare una sensazione piacevolissima, il cazzo svettava ancora di più, così mi sembrava allora alla fine, dopo parecchia di quella attività avevo un senso di appagamento, e dal pene fuoriusciva un poco di liquido acquoso fluido e caldo. All’indomani tornato da scuola, che diluviava dal mattino, mi recai al solito da Nina; la trovai accanto al fuoco, mi ci accostai per scaldarmi e lei con affetto ( ? ) mi cinse con il braccio sinistro da dietro, fino a toccarci: il cazzo si indurì subito, avvampai in viso, sentivo il calore in tutta la testa; il bozzo si notava nei pantaloni, Nina mi cinse allora anche con il braccio destro, serrando le mani, ma l’avambraccio, toccava in pieno il mio cazzo teso, e nei movimenti lo soffregava, dovette accorgersi per forza del mio stato. Io guardavo dritto in mezzo alle sue cosce, incantato. Si avvide dei miei pantaloni bagnati dalle scarpe sino alla caviglia, chiese allora di toglierli per farli asciugare al fuoco, se non avevo vergogna, disse. Me li tolsi , restando in mutande, quelle in uso una volta, con due spacchi laterali per poter tirare fuori il pene quando si doveva urinare; il bozzo era palesemente visibile, illuminato dai bagliori vividi del fuoco. Nina mi attirò a sé vicino, stringendomi come prima, appoggiando il suo viso al mio fianco, l’avambraccio sinistro ancora in contatto sublime con il pene duro, prese ad oscillare su e giù, fregando col bozzo nelle mutande, si girò col viso mi diede un bacio sul fianco sotto la maglietta, sulla pelle nuda. Mi piacque il contatto delle sue labbra umide, mi sentii, un uomo vero, un gigante. “Cosa tieni qua sotto, di duro e grosso?” chiese posandoci sopra il palmo della mano a coppa, “ ti fai male, così? ” continuò mentre io stavo per prendere fuoco come uno zolfanello; quando ella intrufolò la mano nella fessura delle mutande e afferrò il cazzo teso, che per dimensione, stava comodamente nel palmo della sua mano. “ ti dà fastidio? Dillo non aver paura, se ti spavento, puoi dirlo, sai che un po’ ti voglio bene e non ti farei del male” non risposi, ma feci cenno affermativo con il capo, mentre mi chinavi per meglio guardare sotto la sua gonna. Era immensamente piacevole, il suo tocco, diverso da quello della mamma, quando ero molto più piccolo, e dalla punta del pene estratto delle sua mano esperta, gocce come di rugiada fuoriuscivano; Nina fregava con esse l’indice ed il pollice. Poi le portava alla bocca, sulla lingua. La sua mano destra dietro mi palpava il culo, nelle mutande, ciò le conferiva un aspetto diverso da come la conoscevo, anche il suo viso era macchiato di chiazze rosse accese. Io fremevo per conoscere cosa nascondesse in fondo, là tra le cosce di femmina adulta. Tante volte l’avevo osservata china nell’orto sotto le lunghe vesti, oppure da sotto le scale che adducevano al piano di sopra, nel sottotetto usato come fienile, ella mai si preoccupava di chiudere le gambe, o di coprirsi. Ciò aveva creato in me una crescente curiosità, anche perché le stesse nudità della mamma, non sortivano uguale effetto. La sua bocca si chiuse intorno al mio sesso , era calda e umida, donandomi sensazioni mai provate prima d’allora. Prendevo la sua testa tra le mani e la spingevo verso di me, nel contempo, cercavo di allungare la mano tra le sue cosce, riuscendo soltanto a toccare a metà della coscia, la pelle era morbida e liscia.. Persi la lucidità, un senso di leggera volatilità mi faceva viaggiare in territori sconosciuti e selvaggiamente sensuali. Le sue mani salirono ad accarezzare il petto implume, e le spalle, pochi peli avevo allora sotto le ascelle e sul pube ad incorniciare il sesso da ragazzino adolescente. Si staccò e presomi per mano, mi condusse nella sua camera vuota che il marito malato stava con Rocco pur’egli ammalato, giunti vicino al lettone, lo scoprì e mi sollevò aiutandomi a salirvi. Ficcato sotto le coltri, ella fece il giro del letto e dopo aver attizzato il braciere al centro della camera, si denudò velocemente raggiungendomi sotto le lenzuola. Non ebbi il tempo di vedere sotto la gonna, fu il lettone grande e la sua rapidità ad impedirmelo. Mi abbracciò stretto, ella aveva indosso una sottana che nel letto si era accorciata scoprendole le cosce. Sentii il suo calore e mi strofinai in mezzo ai suoi seni. “ Baciamele “ diceva “ così bravo, dai, su con la linguetta. “ io eseguivo e succhiavo a bocca aperta, quei grossi capezzoli duri come il mio cazzo; la sentivo fremere, sotto di me, ci stavo appena appena, chiuse tra le sue cosce; il cazzetto premeva e fregava in uno splendido vuoto molle e umido. “ Vai sotto, ti guido io” diceva mentre con le sue mani mi spingeva giù fino a toccare in mezzo alle cosce; scostò le mutande di lato e “ bacia qua su, caccia la linguetta e lecca come fai con il gelato” . Il mio viso affondò in un varco circondato da peli: c’era una fessura delimitata da escrescenze carnose che fuoriuscivano di lato alla fessura. La fessura era inzaccherata di bava dal sapore leggermente salmastro. Stringeva le cosce intorno alla mia testa e spingeva il bacino in su e giù con ritmo crescente. Si fermò percorsa tutta dai brividi, poi allentò la presa, rilassandosi un poco. Aveva il respiro ansimante , mi prese per la testa e mi tirò su sopra di ella, mi baciava sulla bocca, mentre la sua mano titillava la sua fessura con il mio cazzetto tosto, l’altra mano era intenta a palparmi il culo. Presa di nuovo da frenesia, cercava stringendomi il pene, di far scivolare giù la pelle mobile che avvolga il pene, senza riuscirci, poiché la punta era più grande del foro della pelle. Desistette perché mi ritraevo. Allora lo lasciò nella fessura afferrandomi con entrambe le mani sul culo e mi tirava a se con movimento avanti e indietro. Io mi sentivo conficcato nella sua carne calda e mi sentivo tutto bagnato intorno ai peletti del pene, accavallò le gambe in una morsa intorno a me e si bloccò in questa posa per parecchio tempo, mentre l’aria sibilava dai suoi denti stretti, ansimando col respiro grosso. Si rilassò sciogliendo le gambe ed il legame che ci teneva stretti l’un l’altra. Mi prese il pene tra le mani facendo scorrere avanti ed indietro la pelle che lo ricopre, ma il liquido che fuoriusciva era più abbondante di quando lo facevo da solo. Nina stette abbracciata con me per parecchio, e quando si alzò dal letto le chiesi di vedere come fosse fatta sotto. Lei sorrise forte, ma salita di nuovo sul letto, stavolta in piedi, mi sovrastava , aprì le cosce ponendosi a cavallo sopra di me e con entrambe le mani si aprì la fessura in mezzo alla massa di peli nerissimi e folti. La carne era rosso vivo, con macchie biancastre di liquido colante. Rise forte gridando “ ti piace moccosello” si girò mostrando un culo enorme con chiappe tonde dall’aspetto sode, “ mi piaci “ le dissi . Nina si era vestita, aiutandomi a vestirmi coi pantaloni asciutti. Ci riponemmo davanti al camino ancora acceso, “ è un segreto tra di noi, non devi dire mai niente a nessuno di quel che abbiamo fatto, giura!. Se ti è piaciuto lo facciamo di nuovo, sempre se vuoi “ annuii scaldandomi le mani alla fiamma del ceppo ardente.